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Droga, Ucraina, strani omicidi: Mosca ora si sente assediata

Medvedev parla di «isteria antirussa» e Lavrov vola da Trump. Ma sulle sanzioni non si prevedono schiarite

Droga, Ucraina, strani omicidi: Mosca ora si sente assediata

Sono giornate nerissime per Vladimir Putin, schiacciato tra la squalifica senza precedenti inflitta a una Russia sportiva indifendibile nella sua disonestà di Stato e le prospettive poco incoraggianti del vertice di Parigi dedicato alla crisi in Ucraina che si è tenuto ieri. Senza dimenticare lo scandalo continuo rappresentato dalla sequenza di omicidi «misteriosi» in Paesi dell'Europa occidentale di personaggi invisi al Cremlino, l'ultimo dei quali è avvenuto a Berlino la scorsa settimana e ha spinto il governo tedesco a espellere dei diplomatici russi. Tira insomma sempre più aria di «Russia contro tutti e tutti contro la Russia», e in questo clima siberiano il ministro degli Esteri di Putin, Serghei Lavrov, incontra oggi a Washington il collega americano Mike Pompeo, con la prospettiva di un incontro con il presidente Trump.

Quattro anni di esclusione da tutte le competizioni sportive a livello mondiale rappresentano un colpo fatale alle ambizioni di un Paese che è uno dei giganti dello sport internazionale, ma che evidentemente sottovaluta il fatto che non sono più i tempi in cui i Paesi dell'impero sovietico, con le spudorate truffe di Stato a base di ormoni, trasformavano impunemente le fanciulle della Ddr e della Cecoslovacchia in androgini imbattibili: oggi le falsificazioni nei laboratori antidoping si pagano molto care, specie se emerge come è stato il caso che ha portato la Wada a una decisione severissima che c'era alle spalle una palese regia di Stato.

Addio, dunque, alle speranze di ospitare in Russia i Giochi olimpici del 2032, anche tenendo conto del fatto che a quelli invernali del 2014 a Sochi la «farmacia proibita» dello sport russo aveva lavorato alacremente, tra atleti dopati e provette di urina e sangue manipolate. Quanto alla crisi ucraina, anche qui il Cremlino stenta a far passare in secondo piano di essere stato beccato con le mani nella marmellata, tra l'annessione illegale della Crimea e il sostegno malamente mascherato alle armatissime milizie che hanno trasformato due province dell'Ucraina orientale in Repubbliche fantoccio molto amiche di Mosca.

A Parigi, presenti i leader di Francia e Germania oltre a quelli dei Paesi belligeranti, si cerca di sciogliere l'intricato nodo del Donbass, ma nessuno neanche il presidente ucraino Zelensky che si è fatto eleggere promettendo di riuscirci - si fa troppe illusioni che il massacro (13mila civili e militari uccisi in cinque anni di sanguinoso stillicidio quotidiano) si fermi, e intanto Berlino chiarisce di non vedere ragioni per modificare la politica di sanzioni dell'Ue verso il Paese aggressore.

Nel frattempo, il capo del governo russo Dmitry Medvedev non trova di meglio che lamentare «l'isteria antirussa»: ai danni del suo Paese si starebbe consumando una scandalosa ingiustizia, e perciò il premier ha dato incarico di chiedere alle strutture sportive competenti di appellarsi contro la super squalifica decisa dalla Wada. Medvedev finge di non sapere che il problema non sta nella presunta russofobia, ma nella necessità di sanzionare un sistema sofisticato che lo stesso Stato russo (ma lui pretende di non saperlo) aveva organizzato al preciso scopo di vincere barando.

É dunque impossibile accettare che un Paese che ha gestito lo sport in questo modo possa ambire a organizzare competizioni internazionali e a parteciparvi. Lo stesso responsabile dell'agenzia antidoping russa, Yuri Ganus, ha ammesso che le possibilità di vincere un appello contro la decisione della Wada sono nulle e ha parlato di «tragedia per gli atleti puliti».

A Mosca sport batte politica uno a zero, ma è troppo tardi.

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