Twitter oscura Libero. Ed è bufera su WhatsApp
Dall'8 febbraio i dati della App condivisi con Facebook. E Twitter sospende "Libero"
Dall'8 febbraio i dati della App condivisi con Facebook. E Twitter sospende "Libero"

Le rassicurazioni del portavoce di Whatsapp non cancellano i dubbi degli utenti. E nemmeno quelli dei Garanti della privacy europei. L'authority dell'Irlanda, dove ha sede legale il gruppo che comprende Facebook e Whatsapp, sta svolgendo accertamenti in coordinamento con le omologhe autorità del continente, si apprende dagli uffici del Garante della privacy italiano.
I timori si sono diffusi alla velocità di un messaggio da quando, lo scorso 7 gennaio, ha cominciato a comparire un'informativa sulla privacy che si è costretti ad accettare pena la rimozione di Whatsapp dal telefonino. L'avviso menziona la condivisione con Facebook dei dati raccolti con Whatsapp. Ovvero proprio ciò che Mark Zuckerberg aveva giurato che non sarebbe mai accaduto al momento in cui Facebook acquisì Whatsapp. Del resto, si erano subito chiesti gli osservatori delle cose della Rete, per quale motivi spendere 19 miliardi di dollari quando Facebook ha già un servizio di messaggeria istantanea molto simile? «Chiaramente -spiega Federico Fuga, ingegnere del software e osservatore delle questioni della Rete- a Facebook interessava la base utenti di Whatsapp».
Il pacchetto di dati che verrebbe condiviso tra le due aziende è estremamente penetrante: il numero di telefono, i dati sulle transazioni, le informazioni sulle interazioni con altri utenti o aziende, dettagli sull'apparecchio e l'indirizzo ip che identifica ciascun utente nel momento in cui si collega in Rete. Una nota diffusa da Whatsapp ha subito cercato di sminuire i timori spiegando che la condivisione dei dati con Facebook è limitata e non riguarda gli utenti dell'area europea. I Garanti hanno deciso di muoversi comunque per chiarire la situazione. «Non bisogna demonizzare le aziende e del resto i servizi in qualche modo vanno ripagati -spiega Fuga- però è vero che i potenziali sviluppi del trattamento di massa dei dati con gli strumenti dell'intelligenza artificiale possono creare effetti potenzialmente dannosi per gli utenti. Una macchina che mette in relazione tanti dati diversi potrebbe ad esempio incasellare l'utente automaticamente tra persone a rischio solvibilità per un prestito o a rischio salute per un'assicurazione, con modalità automatiche che nemmeno gli scienziati del settore controllano».
A questo scenario distopico si è aggiunto da pochi giorni un elemento politico: i grandi social network come Facebook e Twitter hanno messo al bando il presidente degli Stati Uniti dopo l'assalto a Capitol Hill. Al di là delle considerazioni politiche, se aziende private si sono arrogate il diritto di decidere in totale autonomia delle comunicazioni di Donald Trump, figurarsi quali chance di controllo delle proprie informazioni ha il cittadino comune.
Molti osservatori, tra cui incredibilmente anche giornalisti, non hanno colto le implicazioni generali, accecati dall'anti-trumpismo e difficilmente le coglieranno dopo che ieri Twitter ha fatto il bis oscurando temporaneamente l'account del quotidiano Libero con lo strano avviso di «attività sospette». Eppure nelle ultime ore pure i leader di Francia e Germania, hanno capito i rischi per la libertà che vanno ben oltre il caso Trump. Rischi confermati dalla sostanziale cancellazione di Parler, un piccolo social newtwork alternativo su cui si erano buttati i seguaci di Trump dopo la sua messa al bando da Twitter. Le aziende che gestiscono i server gli hanno staccato la spina, mentre Google e Apple hanno tolto l'app dai loro store.
«Il problema -dice Fuga- è che certi estremismi sono anti-fragili: sotto attacco si rafforzano». Ieri un altro social alternativo usato dagli anti trumpiani, Gab, è cresciuto di 600mila iscritti in una notte. La censura ai tempi del web ha vita dura. Per fortuna.
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