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Perché il Papa non parla ​del peccato originale

Papa Francesco pare credere all'idea di Rousseau che l'uomo nasca innocente e si corrompa vivendo in società

Perché il Papa non parla ​del peccato originale

Un amico mi fa notare che papa Francesco non parla mai del peccato originale. Non credo non ne parli per una sorta di adesione a una modernità che non mette più il peccato della carne al centro della vita morale individuale e collettiva. Non siamo neppure alla conferma della profezia di Nostradamus secondo la quale sarebbe salito al soglio pontificio un «uomo della Compagnia» (un gesuita) che avrebbe immesso veleno nella dottrina. Ma un conto è attribuire l'umana malvagità al peccato di superbia di Adamo e Eva - come sosteneva Sant'Agostino e aveva sostenuto la Chiesa fino a ieri - un altro attribuirla, come fa questo Papa, al rapporto fra ricchi e poveri, al mondo moderno - che dell'autonomia della politica rispetto alla religione è il superamento; un mondo modellato sul concetto di utilità, su quello di produzione di ricchezza e sulla ricerca della felicità.

Papa Francesco pare credere all'idea di Rousseau che l'uomo nasca innocente e si corrompa vivendo in società; in particolare, nella società democratico-liberale e capitalista, dove la libertà e la proprietà privata produrrebbero, a suo avviso, solo diseguaglianze generatrici di ingiustizie. È la stessa idea che aveva ispirato ai gesuiti il progetto di una società perfetta, regolata da un'Autorità morale, nella quale gli uomini assolvessero alle loro esigenze naturali, comprese quelle di mangiare e di procreare, al suono di una campana manovrata dagli stessi gesuiti; insomma, è l'idea di una società perfetta che ha ispirato gli autoritarismi e i totalitarismi del XX secolo. Che piaccia o no, Papa Francesco più che ubbidire a un principio teologico, ripropone un modello reazionario di convivenza politica della specie di quelli che hanno tenuto l'uomo nell'oscurantismo medievale e negli schemi di un progetto razionalista il cui difetto è consistito proprio nel non tenere conto degli uomini come sono, ma di fondarsi sugli uomini come dovrebbero essere.

Questo Papa, terzomondista, demagogo e pauperista, non mi piace e non piace neppure a molti cattolici. Forse, conquisterà qualche nuovo credente nelle zone del mondo, come l'America Latina, da dove viene e dove più forti sono le diseguaglianze sociali. Ma temo che, col suo soggettivismo, farà più danni che apportare vantaggi alla religione. Capisco e rispetto quei credenti che vedono in lui l'autorità che la storia del cattolicesimo gli attribuisce.

Ma se la forza (storica e politica) della Chiesa è sempre consistita nella sua capacità di adeguarsi alle circostanze, la sistematica rottura, da parte del Papa, di gran parte delle circostanze storiche nelle quali la cristianità vive minaccia di essere ora più un danno che un vantaggio. Quello che il papato sta attraversando non è un momento di rinnovamento, come qualcuno vuole far credere, ma di oscurantismo.

piero.ostellino@ilgiornale.it

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