Una svolta autoritaria pasticciata e autoritaria

Il premier non sopporta di essere contraddetto, e, tanto meno, pubblicamente giudicato

Una svolta autoritaria pasticciata e autoritaria

Il dato più rilevante emerso dal dibattito televisivo fra Renzi e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky è che il presidente del Consiglio non sopporta di essere contraddetto, e, tanto meno, pubblicamente giudicato.

È, questo, un chiaro elemento del suo carattere - che neppure la cortesia, della quale Renzi ha fatto peraltro ampio sfoggio nella circostanza - è riuscita a nascondere o mitigare. D'altra parte, l'inclinazione di Renzi a un certo autoritarismo, - e il suo evidente fastidio nei confronti di critiche, opposizioni, o delle norme e dei regolamenti che possono rallentare o impedire le sue decisioni - era già comparso nell'esercizio delle sue funzioni di governo e in altre occasioni, sia nei confronti della minoranza parlamentare che del suo stesso partito.

Dal capo del governo ci si aspetta capacità di decisione, ma non caratteriale o ideologico decisionismo. Che il ragazzotto fiorentino, passato (forse troppo rapidamente) da sindaco di Firenze a presidente del Consiglio sia uno spirito autoritario appare così evidente. Ad aggravare le cose, è poi il fatto che il decisionismo caratteriale o ideologico del presidente del Consiglio, rischia di essere presto sanzionato da una riforma della Costituzione votata a maggioranza, allo scopo di indebolire il Parlamento, e della futura legge elettorale (da lui stesso voluta), il cui combinato disposto configura una sorta di dittatura della maggioranza e del governo, come ha cercato di spiegare lo stesso Zagrebelsky.

Per il costituzionalista, il rischio è reale: la riforma può portare a derive autoritarie attraverso una concentrazione del potere al vertice delle istituzioni e il conseguente passaggio da una democrazia a una oligarchia. Renzi tende ad interpretare il passato alla luce dei (troppi) compromessi e delle (troppe) lentezze che hanno caratterizzato i governi che lo hanno preceduto. Ma la storica instabilità politica dell'Italia e la debole capacità decisionale dei governi che si sono frequentemente succeduti, spesso prima della scadenza dei loro mandati, non dipende dall'architettura costituzionale, che assegna gli stessi poteri a Camera e Senato (il bicameralismo perfetto che la riforma renziana intende abolire).

La Costituzione del 1948 autorizzava il costante compromesso fra i partiti in Parlamento e nel Paese. Nel bene e nel male, come ha sottolineato Zagrebelsky, la Dc ha tenuto insieme le anime politiche del Paese, salvaguardando la democrazia. La riforma voluta da Renzi, insieme a quella elettorale (su cui il presidente del Consiglio appare però ora disposto a fare diverse concessioni, anche perché non garantirebbe una vittoria certa della sua parte politica) sembra invece postulare una svolta autoritaria.

L'Italia è uscita, nel 1945, da una fase autoritaria ed è, oggi, un democrazia. Con tutti i suoi difetti, che non sono comunque pochi, teniamocela stretta e evitiamo di cambiarla in peggio.

piero.ostellino@il giornale.it

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