Due milioni di casi e 125mila decessi. I Paesi più "forti"? Con leader donne

Impressionanti i dati ufficiali (inferiori a quelli stimati). Trump fa la voce grossa coi governatori: "Decido io". E "Forbes" esalta Merkel & Co.

Due milioni di casi e 125mila decessi. I Paesi più "forti"? Con leader donne

Due milioni di casi nel mondo, con 125mila decessi. La tragica contabilità della pandemia di coronavirus raggiunge una soglia impressionante, e bisogna tra l'altro considerare che stiamo parlando di cifre ufficiali, mentre nuovi studi portano a credere che i numeri reali siano ben più alti. In questi primi cento giorni del 2020, praticamente tutti i governi del mondo hanno dovuto concentrare i loro sforzi sulla gestione di questa emergenza, e si è andati un po' in ordine sparso: dal metodo duro cinese (misure draconiane e gestione dittatoriale, con ampio uso di retorica patriottico-maoista e scarsa trasparenza sui veri dati dell'epidemia) a quello sudcoreano (massima efficienza tecnologica e disciplina della popolazione), da quello americano, britannico e per certi versi anche francese (iniziale sottovalutazione «liberista» del problema seguita da inversione di rotta con indurimento delle direttive) fino alle varie gradazioni di laissez-faire: da quello svedese vagamente malthusiano a quelli autoritariamente irresponsabili in voga in Paesi come l'Iran, il Brasile o la Bielorussia.

Tratto comune delle gestioni del problema è il dibattersi tra il dovere prioritario di tutelare la salute pubblica e quello non meno importante di salvaguardare le economie nazionali, che nel medio termine diventano vittime altrettanto certe del coronavirus, con ricadute anche sociali catastrofiche. Il che si traduce, in pratica, nel dibattersi tra la prosecuzione di misure di lockdown e il desiderio (ma anche la necessità) di inaugurare l'ormai mitica Fase Due. Queste contrapposte pulsioni, non di rado, generano contrasti tra il potere centrale e le amministrazioni locali, come accade sempre più apertamente in Italia. All'estero, il caso più notevole è quello degli Stati Uniti: qui una certa schizofrenia politica del presidente Trump ha portato a un imbarazzante scambio polemico con il governatore dello Stato di New York, quello dove si registra la metà di tutti i (sempre più numerosi) casi americani di Covid-19. Fino a due giorni fa, la linea della Casa Bianca era quella di lasciar decidere a livello dei 50 Stati che compongono il Paese, ma ieri il presidente ha invertito bruscamente la rotta e nel corso di una tesa conferenza stampa ha affermato che a lui competono «i pieni poteri» per la gestione dell'emergenza sanitaria, senza alcun dovere da parte sua di consultare i governatori. Il campo democratico ha prontamente accusato Trump di ignoranza in materia costituzionale e di pericolosa tendenza autoritaria, e il governatore newyorkese Andrew Cuomo gli ha ricordato seccamente che «negli Stati Uniti non abbiamo un re».

Inevitabile, in questi giorni di bilanci statistici, cedere alla tentazione di stilare classifiche di merito. In altre parole, chi sono i leader mondiali che stanno meglio gestendo l'emergenza? Premesso che in fondo alla lista finiscono i gradassi alla Bolsonaro (che in queste ore tace sugli esiti degli esami cui è stato sottoposto), qualcuno ha notato che molti dei Paesi che stanno facendo meglio sono guidati da donne.

La rivista Forbes sottolinea la serietà della gestione di Angela Merkel, che ha risparmiato alla Germania la fase di confusione seguita da disillusione che tanti danni ha fatto altrove; la concretezza della premier finlandese Sanna Marin e di quella norvegese Erna Solberg, che hanno fatto un saggio uso della televisione e degli influencer per comunicare con i cittadini; e soprattutto la praticità della premier taiwanese Tsai Ing-wen, che senza imporre blocchi apocalittici è stata capace di ridurre a 6 (sei!) il numero di decessi nel suo Paese, diviso dalla Cina da un braccio di mare di appena 100 chilometri. Quella stessa Cina dove i contagi stanno riprendendo a salire, e che tiene vergognosamente Taiwan fuori dall'Organizzazione mondiale della sanità.

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