Durigon è bersagliato pure dai ministri alleati

Di Maio e Patuanelli guidano la richiesta di dimissioni. Il sottosegretario sceglie il silenzio

Durigon è bersagliato pure dai ministri alleati

La tempesta estiva abbattutasi su Claudio Durigon continua a infuriare, tenuta alta da Pd, Cinquestelle e Leu, ben contenti di avere individuato un bersaglio all'interno della Lega. Con le Amministrative che si avvicinano e con il semestre bianco e la sua glaciazione istituzionale, a favorire gli scontri interni alla maggioranza, gli aut aut o le richieste di dimissioni rivolte contro un esponente del (proprio) governo sono ormai diventate una specialità sempre più frequentata.

Se in principio gli attacchi si concentrarono contro Roberto Speranza, nel mirino della Lega e di Italia Viva, tra giugno e luglio furono i Cinquestelle a mettere nel mirino Roberto Cingolani. Un paradosso niente male visto che l'ingresso nel governo Draghi dei pentastellati venne giustificato proprio in virtù della creazione del ministro della Transizione Ecologica. Lo scontro tra alleati-coltelli in questi giorni si è spostato sul fronte Salvini-Lamorgese, alla luce della nuova emergenza sbarchi e l'approccio soft della titolare del Viminale. Nelle ultime 48 ore poi è stata la volta dell'offensiva anti-Durigon, offensiva che ha visto coinvolti Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Enrico Letta, il ministro Stefano Patuanelli e ieri si è arricchita di una raccolta firme pro-dimissioni promossa da Maurizio Verona, sindaco di Stazzema.

Il casus belli è la proposta del sottosegretario all'Economia, Durigon - avanzata in un comizio a Latina - di reintitolare al fratello del duce, Arnaldo Mussolini, il parco della città attualmente dedicato a Falcone e Borsellino. Il sottosegretario aveva ricordato le vicende di «un popolo che nasce con un'origine di coloni veneti e friulani»: «Questa è la storia di Latina, che qualcuno ha voluto anche cancellare con quel cambio di nome al nostro parco che deve tornare a essere il parco Mussolini come è sempre stato». Il riferimento è al sindaco Damiano Coletta e all'intitolazione ai due giudici, avvenuta nel luglio del 2017.

La Lega sceglie di non replicare per non alimentare una polemica definita «strumentale». Lo stesso atteggiamento viene tenuto da Durigon che preferisce il silenzio. Qualche giorno fa aveva twittato: «Falcone e Borsellino meritano molto di più di un parco», però «penso che le radici di Latina non debbano essere cancellate», ribadendo di «non essere fascista e di non esserlo mai stato» e di non aver voluto fare alcuna apologia del fascismo. Il centrosinistra alimenta ancora il fuoco polemico con Emanuele Fiano convinto che Durigon non sia «degno di rimanere al governo. Sulla nostra storia non si scherza» e con Nicola Oddati per il quale «Durigon si dimetta o venga rimosso». Il Parlamento, in realtà, non ha possibilità di intervento diretto, ma può solo sollecitare una azione del presidente del Consiglio. I sottosegretari finiti nel mirino in passato erano usciti di scena attraverso una azione di moral suasion o un decreto del capo dello Stato, adottato dal Presidente del Consiglio insieme al ministro competente, previa consultazione con il Consiglio dei ministri. Il Carroccio fa comunque filtrare che il sottosegretario non è in discussione e la fiducia è immutata.

Durigon, d'altra parte, nato a Latina da braccianti veneti trasferiti nell'Agro pontino negli anni del fascismo, è figura di rilievo della Lega, punto di riferimento nel Lazio e uomo vicino a Salvini. E la sua rimozione rappresenterebbe, evidentemente un caso politico.

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