E adesso i governi di sinistra si sono stancati delle quote rosa

Flop parità: meno ministre e legge Delrio inapplicata

E adesso i governi di sinistra si sono stancati delle quote rosa

Annunciate. Sbandierate. Sventolate a ogni brezza di campagna elettorale. Buone per condire gli slogan di certa sinistra che si erge a unica custode dei diritti civili. Infine imposte con una legge, la Delrio del 2014, oggi puntualmente disattesa nel silenzio dei megafoni che gridavano alla conquista femminile. In ciò che resta della tela renziana le quote rosa sono alquanto sbiadite. Non c'è solo il governo. La fotografia di giunte e assemblee regionali e comunali restituisce una promessa mancata ora passata in eredità all'esecutivo Gentiloni.

Tre anni fa nemmeno l'ex premier e segretario aveva resistito alla tentazione di cavalcare il consenso offerto dal bacino femminista: così ecco Pinotti, prima esponente del gentil sesso alla guida della Difesa, Mogherini, Boschi, Madia. Nomi simbolo dell'avvenuta parità di genere rivendicati da Matteo all'atto dell'insediamento. Ma quell'esecutivo composto al 50% dal gentil sesso, calcola Openpolis, è durato appena una settimana: subito dopo la percentuale era già quasi dimezzata (26,3%). Le ministre scendevano a cinque (31,25%), le dimissionarie Maria Carmela Lanzetta, Federica Mogherini e Federica Guidi venivano sostituite da colleghi uomini. Al governo «fotocopia» Gentiloni non è rimasto che confermare lo stesso numero di donne, ma la percentuale, a fronte dell'incremento dei ministri, è scesa al 27,78%.

Il rosa è in caduta libera anche in periferia, nonostante la legge 56 del 2014, che porta il nome del ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio, pretenda che nelle giunte dei Comuni sopra i 3mila abitanti nessuno dei due sessi sia rappresentato «in misura inferiore al 40%». Un rapporto rimasto sulla carta in 41 capoluoghi di provincia sui 67 andati al voto nel maggio 2014. E c'è una zona grigia di 15 città dove «questo equilibrio può essere considerato rispettato solo alla larga, cioè interpretando in maniera estensiva l'espressione arrotondamento aritmetico», spiega l'osservatorio Openpolis nel suo minidossier Trova l'intrusa. In undici, invece, la presenza di uomini e donne in giunta risulta del tutto «squilibrata», e ha già offerto terreno fertile alla sfilza di ricorsi con cui le opposizioni fanno traballare, quando non azzerare, via Tar giunte troppo maschili.

C'è solo la Campania a risollevare il quadro impietoso delle Regioni: nella squadra di De Luca le donne sono il 66,67%. Altrove la parità di genere è un proposito affidato alle pieghe di singole leggi elettorali. Il risultato è che solo otto esecutivi raggiungono il 40% di donne, e ci riescono perché dal calcolo si esclude il presidente. Tra i consigli regionali nessuno arriva alla soglia Delrio: nel migliore dei casi, quello dell'Emilia Romagna, si tocca il 32% di consigliere. A voler fare una sintesi, nei salotti finanziari e politici le donne contano al 30%.

È questa la percentuale delle titolari di un seggio in Parlamento e a Bruxelles, e anche di coloro che hanno una poltrona nei consigli di amministrazione delle aziende quotate (erano il 5% nel 2008).

Ma dietro l'abbaglio, arriva il fumo: nelle posizioni di vertice, la presenza femminile «tende alla rarefazione». Solo il 3% è presidente o presidente onorario, le amministratrici delegate sono solo 17 in tutto. È la rivoluzione delle quote rosa.

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