Era meglio la corazzata Potemkin, la telefonata del ragionier Filini, il professor Guidobaldo Maria Riccardelli, invece della frittatona di cipolle e della familiare di Peroni indiavolata sul divano. Era meglio non vedere, era meglio non esserci, fare altro, uscire, andare via. Perché per quanto il Meazza sia da notti magiche, la partita, al netto della retorica patriottarda, è quasi un preliminare di Champions League, un giocare per partecipare e non per vincere, e se non ce l'abbiamo fatta quando in squadra avevamo Ghiggia e Schiaffino, i carnefici del Maracanazo, cosa ti fa pensare, dovevi capirlo subito, che ce la fai adesso con Gabbiadini e Parolo? A San Siro tocca ancora apparecchiare per i poveri, dopo i cabaret messi in piedi da Milan e Inter in questi anni, farsi bello per l'Italia più sfigata che c'è che sperimenta persino il tifo controvoglia. Adesso siamo sessanta milioni di ct senza una squadra: la brigata di Ventura esce da Armata Brancaleone, eliminata da un gol in due partite che ci siamo fatti da soli. Noi che facevamo uscire Zico con la maglia strappata, ci siamo fatti buttare fuori dal ring da una banda di bulletti svedesi, da «una squadra di profughi». Chissà se ci fosse stato anche Ibra. Anche nel calcio abbiamo esaurito il campionario della nostra arte d'arrangiarsi, la furbizia che ci faceva odiosi ma vincenti, persino la virtù di essere tutti primi violini e mai orchestra, che una volta ci faceva imprevedibili adesso ci fa fragili e confusionari. Il calcio brandito dagli svedesi, riconsegna Ventura alla sua serena inesistenza: il ct fischiato già prima di entrare esce dal campo come Gloria Swanson in Viale del tramonto interprete muto di una parte che non era la sua.
Ha lottato contro un avversario più temibile della Svezia: l'evidenza, di una nazionale che non c'è figlia del campionato più brutto del mondo. Tocca aspettare il Qatar nel 2022. A Mosca ci vanno gli svedesi: la rivoluzione, al contrario di noi, non russa. E ci resta sempre la corazzata Potemkin...
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