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Flat tax, quella lezione che il Pd non ha mai imparato

I democratici Usa nel 1981 compresero che abbassare le tasse è "popolare"

Flat tax, quella lezione che il Pd non ha mai imparato

Ogni giorno la sinistra trova nuovi modi per mostrare il suo astio contro la flat tax. Arrivando a sostenere che anche Ronald Reagan ci sbatté la faccia. Peccato che non sia così. Quando Reagan entrò alla Casa Bianca nel gennaio del 1981 ereditò un Paese in crisi. L'economia era in recessione, la disoccupazione superava l'8% e l'inflazione il 9. Il leader repubblicano aveva costruito la campagna elettorale sulla necessità di ridare benessere agli americani e sul fatto che la ricetta per rilanciare il Paese passasse dal taglio delle tasse. Celebre la sua sfida televisiva con il presidente Jimmy Carter conclusa con la frase provocatoria agli elettori: «State meglio di come stavate 4 anni fa?» Sette giorni dopo l'America rispose con un secco «No».

Nel momento in cui si insediò l'ex governatore della California il Congresso non pendeva a destra, anzi il Gop controllava solo il Senato, mentre la Camera restava nelle mani dei democratici. In questo clima il presidente si imbarcò nella riforma per abbattere la pressione fiscale. Un obiettivo che si poteva centrare solo con una collaborazione bipartisan. Fin dall'inizio dei lavori si innescò una dinamica particolare tra destra e sinistra. Partì la gara a chi tagliava di più. I dem proposero un proprio piano di riforma e per mesi ci fu un duello a distanza coi repubblicani a colpi di riforme per convincere quanti più moderati possibile. Basti pensare che una delle modifiche simbolo della legge del 1981, quella che riduceva l'aliquota marginale massima sui redditi alti dal 70 al 50%, fu partorita dai democratici.

Alla fine il piano immaginato da Reagan venne alla luce nell'autunno del suo primo anno di presidenza. La Camera approvò con 282 voti a favore tra i quali 119 democratici (solo 101 i dem contrari), mentre al Senato passò grazie a 67 senatori, tra i quali anche un giovane Joe Biden. La riforma fu mastodontica: il taglio delle tasse arrivò a pesare il 2,9% del Pil. Certo, nessuno nasconde che subito dopo il maxi piano vennero varati anche correttivi e rimodulazioni per l'esplosione del deficit federale. In anni recenti, Bruce Bartlett, uno dei consiglieri di Reagan, ha spiegato come alla fine l'effetto fu dimezzato. Un'ammissione di colpevolezza? Nient'affatto. Cinque anni dopo la presidenza rincarò la dose con una nuova sforbiciata delle aliquote, di nuovo con l'appoggio della sinistra. Negli anni il Congresso e le amministrazioni successive hanno rimodulato le tasse, ma la pressione non è più tornata ai livelli dell'80. E le Reaganomics hanno avuto altri effetti. Il primo è stato quello di limitare il peso dell'inflazione sulla pressione fiscale. Il secondo è stato saldare lo storico fastidio per le tasse degli americani al partito repubblicano. «Il taglio dell''81 - ha scritto la sociologa Monica Prasad - ha insegnato al Gop che l'abbassamento delle tasse può essere molto popolare». È un peccato che la sinistra Usa non abbia insegnato niente a quella nostrana. Anzi ogni tentativo di limare le tasse cade nel vuoto.

Impossibile pensare a un lampo bipartisan quando l'unica retorica che il Pd è in grado di sfoderare si ferma ai luoghi comuni, come quello del sindaco di Roma Roberto Gualtieri che ha bollato la proposta dal centrodestra come «un furto con destrezza ai danni degli italiani».

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