Cronache

E il capo dei vescovi sbottò: "Basta urla e populismi. La Camera pare un'osteria"

Il presidente della Cei Bassetti: "Italia da ripensare. Ma non da chi predica complotti e cospirazioni"

Gualtiero Bassetti
Gualtiero Bassetti

Il menù era quello classico, natalizio. Non potevano mancare i tortelli in brodo e nemmeno il cappone ripieno. E soprattutto non poteva mancare lui, don Gualtiero, che ogni anno organizzava un gustoso pranzo di Natale con poveri e rifugiati. Erano più di centocinquanta questa volta, e l'arcivescovo di Perugia li aveva salutati uno per uno. Al suo tavolo, all'interno della villa di proprietà della diocesi, quest'anno aveva voluto dei ragazzi pakistani, appena arrivati in città e accolti dalla Caritas del posto. «Prendi ancora un po' di pasta», aveva detto il Presidente della CEI a uno dei giovani seduti vicino a lui, «Coraggio, che domani la pacchia finisce», aveva scherzato il porporato. Poi, aveva preso in mano il microfono per la preghiera iniziale e il saluto a tutti i presenti con gli auguri natalizi. Sentendo la voce del cardinale, l'enorme salone chiassoso si era immediatamente zittito. L'atmosfera, dopotutto, era festosa. Alle spalle di don Gualtiero, un'enorme natività dominava su tutta la stanza: non poteva essere altrimenti, era il giorno di Natale.

Le tovaglie rosse, le candele, i fiori e tutti gli addobbi rallegravano quel posto, dove la Chiesa era viva e porgeva la mano al fratello in difficoltà. Don Gualtiero sapeva perfettamente cosa significa porgere la mano. Lo aveva fatto già da ragazzo: era stato, infatti, un angelo del fango, nel 1966, durante la terribile alluvione di Firenze. Aveva 24 anni, era un prete novello e, grazie all'aiuto di alcuni ragazzini, aveva salvato anche delle vite umane. In particolare, aveva salvato Nonna Rosa, un'anziana bloccata in casa che non voleva saperne di andare via. (...)

Eminenza, da un lato ci sono pensioni da fame e dall'altro pensioni d'oro e vitalizi. C'è ancora spazio oggi per un'Italia di privilegi, lussi e sperperi?

La risposta è fin troppo semplice: ovviamente non c'è più spazio per gli sperperi. Tuttavia bisognerebbe aggiungere che anche in passato non c'era alcuna legittimazione per queste forme di sprechi e privilegi che sono sempre cristianamente ingiustificabili. Su questo punto, però, vorrei sottolineare un aspetto: sono ormai decenni che tutti se ne lamentano. Sulla parola d'ordine dell'onestà contro le ruberie dei potenti si sono fatti dei grandi discorsi pubblici e si sono scritti non so quanti articoli o libri. Alla fine, però, sembra di essere sempre al punto di partenza. Nel 1993 si parlava di Tangentopoli, ora si parla di Mafia Capitale. Da Milano ci siamo spostati a Roma ma la sostanza non cambia. Anzi, ora il clima politico e morale sembra essere pure peggiorato.

E allora cosa bisogna fare per superare questi scenari?

Se le cose stanno così, forse è venuto il momento di dire che è finito il tempo non solo degli sprechi dei soldi pubblici, ma anche delle parole vuote e dei facili slogan. In tutta franchezza, non se ne può più dei proclami urlati che poi vengono portati via dal vento. Al nostro Paese non sono necessarie tante parole, ma serve un'idea semplice e realizzabile: un'unica visione, alta e nobile, a cui far seguire una serie di fatti concreti.

In questi anni, in Italia, i populismi e l'antipolitica hanno dilagato creando spesso anche divisioni sociali. Questa svolta politica ha fatto del bene e fa del bene al nostro Paese?

Sono cresciuto in una nazione in cui, tanto per fare un esempio, c'erano i cosiddetti professorini che avevano contribuito a scrivere la Costituzione e accanto a essi dei cavalli di razza della politica: un ceto politico colto e preparato che, seppur commettendo degli errori, ha saputo guidare il Paese dal baratro della distruzione della seconda guerra mondiale fino a essere una delle più importanti nazioni del mondo. Da qualche anno, lo dico non senza difficoltà, provo un senso di spaesamento rispetto a uno stile e a un linguaggio che si avvicina più a quello dell'osteria che a quello di un'aula del Parlamento. Questo Paese ha assolutamente bisogno di ritornare a credere in se stesso e anche di pensare laicamente e non solo cristianamente al bene comune. Penso, in tutta franchezza, che tra coloro che vedono ovunque complotti e cospirazioni, e coloro che compiono delle irresponsabili fughe in avanti, ci sia un oceano di buon senso. E che all'interno di quest'oceano ci sia un mare di buone prassi, cioè di politica al servizio dell'uomo. Per il bene delle famiglie e dei cittadini di questo stupendo e complesso Paese che è l'Italia.

In sintesi cosa si dovrebbe fare?

Occorre ripensare l'intero sistema Paese. Un Paese che a volte sembra ingabbiato da mediocri interessi corporativi, da oligarchie vecchie che rispondono solo a loro stesse e da un individualismo diffuso. L'Italia, invece, tutti giorni fa i conti con alcuni problemi giganteschi che, al di là delle frasi retoriche, trovano poco spazio nell'agenda pubblica (...

) Tutto questo non si risolve soltanto con dei provvedimenti settoriali ma con un'idea alta dell'Italia, una visione a 360 gradi di cosa deve essere il Paese oggi e nei prossimi decenni.

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