RomaDopo tutto è Roma che conquista la Lega più che il contrario. La città eterna accoglie il comizio di piazza del Popolo con la flemma di chi ne ha viste di tutti i colori, figuriamoci il verde smeraldo che rimbalza placido sui sampietrini eterni. Ha pure la squisitezza di regalare al popolo del Carroccio una giornata di sole primaverile che scalda i cuori gratis e stempera gli ardori, anche quello dei no-Salvini dell'estrema sinistra, che sfilano pochi e placidi in un'altra parte della città. Il sole si eclissa dietro al Pincio mentre Matteo Salvini conclude la sua vacanza romana senza Vespa ma con tanti vaffa: un V-day, sette anni e mezzo dopo il copyright grillino sull'insulto elevato a programma politico.
È il giorno di Matteo contro Matteo. Il primo, Salvini, in felpa e ossa per lanciare la sfida al secondo, continuamente evocato in slogan, striscioni e come intestatario della più parte dei vaffa che la folla infila nelle pause sempre più studiate che seguono ogni citazione del premier. Salvini avverte: «Occhio che quello si offende e mette una tassa sul vaffa». Un vaffa va anche alla Fornero, intesa come ministra montiana e come legge. La legge tace. L'ex ministra replica gelida: «Basso livello politico».
Il segretario federale arriva sul palco alle 16,40, esauriti i sottoclou, tablet in mano e addosso una t-shirt nera che esalta una silhouette quasi perfetta. La maglia - su camicia bianca, sfashion più che fashion - inneggia al benzinaio-eroe Graziano Stacchio. Matteo «quello vero» gongola davanti alla piazza piena «malgrado le abbiano provate tutte per tenerla vuota» e cita don Milani: «Non bisogna obbedire a una legge sbagliata» (ovazione). Finge di assolvere Renzi, «che è un servo sciocco, uno strumento simpatico, oddìo, simpatico...», e Alfano, «che è un problema solo per se stesso» (ovazione doppia). Promette una «aliquota fiscale secca al 15 per cento, e dopo saranno gli svizzeri a portare i soldi da noi» (ovazione tripla). Va dritto alla pancia del leghista medio: «Cent'anni fa la prima guerra mondiale, che vincemmo col non passa lo straniero. Oggi non solo lo straniero passa, ma lo andiamo addirittura a prendere» (ovazione quadrupla).
E la politica? Quella roba fatta di schieramenti, sigle, accordi? A Salviniland è un dettaglio sullo sfondo. «Ci dicono che siamo di destra, anzi a destra della destra. Ma per noi destra e sinistra non esistono, esistono i lavoratori e i mantenuti». E le alleanze? «Noi ci vogliamo alleare con 60 milioni di italiani». E Forza Italia? «Non diamo lezioni a nessuno. Lasciamoli dibattere. Di certo non vogliamo fare alleanze larghe e poi litigare. Magari vinciamo anche in due».
Prima di Salvini sul palco si alternano rappresentanti delle varie categorie (esodati, agricoltori, pescatori, medici, perfino i papà separati). Poi Simone Di Stefano di Sovranità, nuova sigla di estrema destra (ma «condividiamo ogni singola parola del programma di Matteo Salvini»), quindi una Giorgia Meloni in formissima («mandiamo Prodi in Libia, così mette l'euro e affonda pure l'Isis») e - prima di un videosaluto di Marine Le Pen - un Luca Zaia sornione, un bottone della giacchetta allacciato, mentre qualche metro più in là il suo avversario, il sindaco di Verona Flavio Tosi, fa la parte del Calimero: giù dal palco, mischiato tra la folla, a sussurrare a chi glielo chiede che no, «io mica voglio la rottura».
Sul palco molti sindaci leghisti, Roberto Maroni, Mario Borghezio e il senatùr Umberto Bossi. Uno che conquistare Roma ladrona non lo avrebbe nemmeno sognato.I consensi per la Lega secondo l'ultimo sondaggio realizzato da Swg. Forza Italia è al 16,1%
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