Roma - I candidati sindaci del Pd vogliono giocare in proprio ai ballottaggi. Per tutti, da Fassino a Torino a Sala a Milano e Giachetti a Roma fino a Merola a Bologna, la preoccupazione è la stessa: di fronte all'onda protestataria dell'antipolitica, venire identificati con il governo, parafulmine di tutti i mugugni, è più un rischio che un atout.
Anche perché, al secondo giro, occorre allargare il consenso oltre il proprio consolidato bacino elettorale, andando a pescare voti anche in partibus infidelium, quindi tra chi non ama né Matteo Renzi né il Pd. Ecco perché nessuno di loro farà manifestazioni a fianco del premier, di qui al fatidico 19 giugno. «Sarebbe un errore chiedere agli elettori un voto pro o contro Renzi», dice il sindaco di Torino. Del resto, spiegano gli uomini di Fassino come quelli di Giachetti a Roma, è stato Renzi per primo a suggerire questa linea di condotta, lunedì scorso, annunciando loro che si sarebbe «defilato» dall'ultima fase di campagna elettorale per sottrarsi ad una eccessiva «politicizzazione» del voto. Tant'è vero che ieri ha annunciato che, mentre le urne si apriranno, lui sarà in visita di Stato a Mosca, immerso nel proprio ruolo istituzionale e lontano dalla mischia politica. Allontanare da sé il marchio dei leader nazionali sembra d'altronde un'ansia comune un po' a tutti i candidati: a Milano, Parisi ha dato l'altolà a Salvini, dicendo che se il leghista vuol partecipare alla manifestazione di chiusura tra la folla bene, ma lui vuol essere da solo sul palco: «Parlo soltanto io». E i candidati grillini han tenuto l'ex comico fuori dalla loro campagna. Se poi il partito è anche di governo, come per il Pd, l'ansia aumenta.
I candidati battono le periferie: Fassino punta a recuperare il voto di sinistra orfano del fallimento di Airaudo (Sel) ma anche - forte dei complimenti del Financial Times per la sua «buona amministrazione» - quello della borghesia tentata dalla «madamina» a Cinque Stelle. A Giachetti, che deve tentare una difficile rimonta, i grillini in confusione stanno regalando la carta Olimpiadi, che secondo i sondaggi piace alla maggioranza dei romani, mentre la Raggi le ha definite «criminali». E si prende l'appoggio di un esponente di Sel come Claudio Fava, che rompe con Stefano Fassina e i suoi.
Intanto la minoranza Pd, infuriata per la minaccia renziana di «usare il lanciafiamme» contro le correnti del partito, spera in una débâcle elettorale per poter finalmente azzannare il premier, e si prepara allo scontro su
Italicum (chiede il premio alla coalizione per «ricostruire l'Ulivo», non si sa con chi) e referendum: Bersani tuona che le feste dell'Unità non si dovrà parlare di riforme: «Non vanno trasformate in comitati per il Sì».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.