Beirut. Un capodanno poco gioioso in Israele, il primo trascorso in lockdown in tutta la sua storia. Ieri sera, un'ora prima del tramonto, è cominciato lo Rosh Hashanah, il capodanno ebraico che dà il via al mese di festività autunnali, e ha fatto entrare lo Stato ebraico nell'anno 5781. Seguirà lo Yom Kippur, il giorno della penitenza, e poi il Sukkot, la suggestiva festa delle «capanne». Nonostante l'ostinata resistenza dei religiosi ultra-ortodossi, le feste saranno al chiuso delle case, e le sinagoghe resteranno sbarrate, come neppure è stato durante le guerre contro gli Stati arabi. Ma le misure di emergenza erano inevitabili dopo l'impennata di contagi. Ieri sono stati 5.238. Le chiusure generalizzate resteranno in vigore almeno tre settimane.
Le infezioni di ieri hanno anche portato a 577 i malati gravi e, di questi, 153 in rianimazione: un picco rispetto al giorno precedente. Netanyahu ha ammonito che se le restrizioni imposte non verranno rispettate e le infezioni non diminuiranno «non ci sarà altra strada» che prolungare il lockdown. Unica modifica introdotta dall'esecutivo alle regole è stata quella che ha visto aumentare da 500 metri a un chilometro il raggio entro il quale gli israeliani possono allontanarsi da casa. Il coronavirus si è infatti diffuso in ogni fascia della popolazione e in tutto il Paese. Sembra che ora ogni israeliano conosca qualcuno che ha contratto il Covid-19 e lo scetticismo e la sospettosità sono aumentati.
Molti sono critici nei confronti della gestione da parte del governo della emergenza. Le linee guida sono complicate, spesso contraddittorie e in continua evoluzione. Uno dei motivi della gravità della seconda ondata che da inizio agosto ha fatto oltre 700 vittime e portato il totale a quasi 1.200. I casi sono ormai oltre 170mila, al ritmo di 5mila al giorno. Lo Stato ebraico 9,2 milioni di abitanti, ha un bilancio più pesante rispetto alla Cisgiordania, 225 decessi per 3 milioni di abitanti, o a Gaza, 13 vittime per 2 milioni di persone.
Il premier Benjamin Netanyahu è tornato dal viaggio trionfale a Washington in un Paese di nuovo in allarme rosso e dove si sta acuendo la tensione tra gli ultra-ortodossi, gli haredim, e la popolazione laica. Per mesi, tutti gli esperti hanno spiegato che la principale fonte di infezione è nei raduni affollati al chiuso e che cantare e parlare ad alta voce in quegli spazi aumentano considerevolmente i rischi.
Ora, con questo secondo lockdown, per la prima volta in un Paese dall'inizio della pandemia, un gran numero di restrizioni si applica alle attività meno rischiose all'aperto; mentre le limitazioni alle attività nelle sinagoghe sono relativamente lievi e molti haredim non nascondono la loro
intenzione di ignorarle. Nei giorni scorsi il ministro ultra-ortodosso dell'Edilizia Yakov Litzman si è dimesso proprio perché contrario al lockdown. Israele attraverserà un capodanno con il cuore pesante e molte incognite.
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