Molto dipenderà dai ballottaggi di domenica. Ma se il voto andrà come i lusinghieri sondaggi riservati in mano al Pd preannunciano, il dossier Quirinale verrà ufficialmente aperto anche al Nazareno. Su una nuova pagina, che vede scritto in testa il nome di Mario Draghi. Fino alle elezioni amministrative, Enrico Letta aveva ripetuto a ogni occasione, in pubblico, che «l'interesse dell'Italia non è di mandare Draghi al Quirinale e poi andare al voto. È che questo governo duri», fino al termine della legislatura. Un modo per rispondere a chi dal centrodestra, come Giorgia Meloni, si proclamava pronto a votare per mandare il premier al Colle in cambio di elezioni anticipate. Mentre nel Pd la soluzione più accreditata continuava ad essere quella di un Mattarella bis, nonostante i ripetuti no del diretto interessato. Del resto, si spiegava, senza una candidatura forte come quella di Draghi, in un quadro parlamentare confuso e con una pletora di aspiranti o potenziali candidati di area centrosinistra, il rischio è quello di infilarsi in un tunnel senza uscita di fumate nere. Un rischio che avrebbe potuto spingere infine il presidente uscente a cedere alle suppliche corali, accettando la riconferma.
Gli esiti delle ultime comunali, però, hanno comportato un cambio di strategia al Nazareno. Le elezioni anticipate non sono più uno spauracchio, perché «la destra si è rivelata tutt'altro che invincibile», come dice Letta. E, dopo i ballottaggi di Roma e Torino, potrebbe essere il centrodestra a cambiare idea sul voto: una sconfitta del «suo» Michetti a Roma darebbe un durissimo colpo anche alle ambizioni politiche di Giorgia Meloni. Mentre Letta potrebbe entrare nella partita per il Colle con l'aura del vincitore, e provare a intestarsi una operazione ambiziosa: costruire una maggioranza larghissima, in grado di eleggere al primo scrutinio una figura forte e autorevole come Mario Draghi, in grado di fare da garante delle istituzioni in un clima sempre più torbido e teso, mentre si allargano proteste anarchiche e destabilizzanti contro il Green pass, e nel paese cresce il rigetto per le regole e per i prezzi inevitabili da pagare, se si vuole uscire dall'emergenza pandemica e dalla droga dei sussidi di Stato che hanno sorretto interi settori.
Una maggioranza che includa tutti i partiti a sostegno del governo, dal Pd a Forza Italia, dalla Lega ai Cinque Stelle. Fino a FdI, se Meloni vorrà tener fede a quanto detto, altrimenti pazienza. Certo, resta il problema di convincere centinaia di parlamentari che scrivere quel nome sulla scheda non significa elezioni: ci vuole un altro governo pronto a partire subito dopo l'addio di Draghi a Palazzo Chigi. Nel Pd si fa il nome della ministra (ed ex presidente della Corte costituzionale) Marta Cartabia, considerata più «politica» del tecnico Daniele Franco. Un governo, si dice, che abbia come orizzonte l'ottobre del 2022, ossia la magica data oltre la quale i parlamentari di prima nomina matureranno il diritto alla pensione: e questo, si pensa, potrebbe bastare a rassicurare le truppe grilline, che Conte certo non pare in grado di controllare e che costituiscono l'anello debole dell'operazione.
Se poi la Lega decidesse di uscire dal governo post-Draghi, per Letta sarebbe anche meglio: potrebbe provare ad andare al voto, a fine 2022, con una «coalizione Ursula» che comprenda anche i moderati, da Calenda a Renzi a Fi, spezzando il centrodestra. E isolando Salvini e Meloni su posizioni radicali.
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