Chi comanda nel M5s? Conte è il leader formale, dietro c'è Beppe Grillo che non lo sopporta più ma evita ulteriori scontri diretti (l'ultima volta, sulla questione del nuovo statuto M5s, gli disse che «non ha visione politica, né capacità manageriale»), e poi c'è Luigi Di Maio. Anche lui dietro le quinte, ma in una posizione di controllo dei gruppi parlamentari, manovra discretamente ma visibilmente per creare un'alternativa alla stagione Conte. Con lui ci sono pezzi importanti del Movimento (tra cui l'ex sottosegretario Spadafora, che nel suo libro fa a pezzi l'avvocato Conte) e poi Virginia Raggi, neo disoccupata ma decisa a prendersi un posto nel Movimento. Tra Di Maio e la Raggi, si vocifera nei Palazzi, c'è un'intesa - sotto la regia di Grillo - per far fuori Conte al primo scivolone dell'ex premier (nella partita del Quirinale potrebbe, magari). Non è quindi un dettaglio l'ultima «assunzione» datta da Di Maio alla Farnesina. Dopo tanti amici piazzati nei ministeri, il grillino ha chiamato al ministero degli Esteri un nuovo consigliere, che avrà la delega sulla candidatura di Roma all'Expo 2030, Teodoro Fulgione (90mila euro il compenso). Si tratta dell'ex portavoce del sindaco Virginia Raggi, al suo fianco per cinque anni in Campidoglio. Non un semplice comunicatore, ma una sorta di sindaco ombra - scrive il Foglio, che ha anticipato la notizia - «l'ombra discreta ma potentissima della sindaca grillina», capace di tenere i rapporti diplomatici con le varie correnti e i diversi capitribù del M5s, da Di Battista a Conte, da Grillo a - appunto - Di Maio. Un'assunzione che conferma l'asse tra Gigino e la Raggi, in chiave anti-Conte.
L'ex premier non sta vivendo un momento facile come leader incaricato del Movimento. Le sue prime elezioni da capo partito, le amministrative, sono state un disastro. Le sue prime mosse goffe, come il divieto di andare in Rai (lanciato per essere rimasto a bocca asciutta nella distribuzione di poltrone nei tg), rimangiato dopo neanche 24 ore. Con i «suoi» parlamentari - lui che neanche siede in Parlamento - il rapporto è molto esile, molti rispondono ancora a Grillo o a Di Maio. Le figuracce non lo aiutano. Ad esempio - ha scoperto l'ex grillino Walter Rizzetto oggi deputato di Fdi - il quesito sul 2 per mille fornito nella votazione on line agli iscritti grillini, conteneva un errore madornale: il riferimento ad un decreto legge, il Dl 143/2013, che però non esiste. Svarioni, che si aggiungono alle sconfessioni dei valori fondanti del Movimento, ultimo dei quali il no al finanziamento pubblico ai partiti.
Sui social rimbalzano le dichiarazioni dei pentastellati anni fa. Uno di loro, nel 2015, spiegava perché il M5s aveva detto no: «Semplice, noi non vogliamo soldi pubblici. Il 2 per mille ai partiti sono soldi in meno per sanità, scuole e altri servizi». Si chiamava Luigi Di Maio.
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