Vladimir Putin schiuma rabbia e sibila minacce alla conferma della notizia (assai annunciata in verità) dell'imminente richiesta di adesione della Finlandia all'Alleanza Atlantica. L'ingresso del Paese nordico, che condivide con la Russia un confine terrestre lungo 1340 chilometri, «è sicuramente una minaccia per Mosca e non aiuterà la stabilità e la sicurezza dell'Europa», ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Da qui l'immediato avviso «a chiunque cerchi di farsi coinvolgere in Ucraina e ostacolare l'operazione militare speciale»: la Russia «adotterà misure adeguate per garantire la propria sicurezza ed è pronta a dare la risposta più decisiva».
Al momento non è chiaro quali possano essere queste misure, anche considerando che già l'invasione in corso dell'Ucraina sta mettendo a dura prova le forze armate russe. Va anche messo in conto che la Finlandia, così come la Svezia, ha appena stipulato un accordo di reciproca protezione militare con la Gran Bretagna (che, va ricordato, è una potenza nucleare e dispone di sottomarini armati con testate atomiche) che ha il senso di una sorta di assicurazione pro tempore in attesa dell'ingresso nella Nato. Come primo avvertimento, il Cremlino ammonisce a mantenere le distanze, precisando che il tipo di risposta dipenderà dalla vicinanza delle infrastrutture Nato ai confini russi. Poi invia un messaggio direttamente a Helsinki: già da oggi le forniture di gas russo potranno essere improvvisamente interrotte. Ma questa è una minaccia dal peso molto relativo: perché è vero che i due terzi del gas consumato in Finlandia arrivano dalla Russia, ma è soprattutto vero che esso pesa solo per il 5% del consumo energetico nazionale, coperto in massima parte da centrali nucleari, biomasse (scarti del legname) e petrolio. Già da una settimana, il ministro finlandese degli Affari europei Tytti Tuppurainen assicurava che Helsinki era pronta a fronteggiare un eventuale taglio delle forniture dalla Russia.
Il Cremlino, dunque, grida all'accentuata minaccia Nato ai suoi confini e mette in guardia una Finlandia che già in epoca staliniana (con la guerra dei cento giorni del 1939-40) era stata attaccata dalla Russia. Mai come in questo caso però, è il caso di sottolinearlo, risulta valido il vecchio adagio secondo cui «chi è causa del suo mal pianga se stesso»: Helsinki (e lo stesso vale per Stoccolma, chi si accinge a seguirne i passi) non solo se ne era rimasta tranquilla e neutrale per tre quarti di secolo, ma ancora poche settimane fa veniva indicata come possibile esempio di neutralità filoeuropea da suggerire all'Ucraina in cambio della pace con Mosca. Tutto finito, dimenticato come la stessa parola «finlandizzazione», che indicava quel tipo di neutralità di fatto imposto dalla Russia al suo debole vicino. E non perché i finlandesi siano impazziti o colti da improvvisa e bellicosa urgenza di unirsi agli occidentali. No: Helsinki chiede, e pure facendo fretta, alla Nato di accoglierla perché l'aggressione russa all'Ucraina le ha aperto gli occhi. Non solo i leader politici, ma anche i finlandesi comuni hanno capito con orrore che i prossimi possono essere loro.
Mai il termine russofobia, sempre citato a sproposito, risulta usato come in questo caso nella sua corretta accezione: la Russia fa paura, ed è per questo che si corre sotto l'ombrello protettivo americano.
Né si può fare a meno di osservare come, una volta di più, gli ammiratori del Putin «grande statista e stratega» si trovino servita una nuova occasione per ricredersi: la guerra è stata lanciata per allontanare la Nato dai confini russi, ma il risultato ottenuto è esattamente l'opposto.
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