Roma - Ma Matteo Renzi «sta sereno»? La domanda dell'intervistatore, che rievoca l'epitaffio renziano sul governo Letta, è maliziosa, e il premier, ospite di buon mattino a Rtl, si fa una gran risata. «Dopo la mia meravigliosa frase, che peraltro era in perfetta buona fede, non si può più dire sto sereno», ammette.
Del resto la serenità (in senso letterale e non lettiano) è un lusso difficile da permettersi, visti i molteplici e spesso scivolosi fronti aperti che il capo del governo deve gestire: la legge di bilancio e la trattativa sulle pensioni, il braccio di ferro con l'Unione Europea (che pure, dicono i suoi, è disposta a «concederci non tutto ma tanto di quel che vogliamo»), le pressioni per cambiare l'Italicum, la scadenza potenzialmente esplosiva del referendum del 4 dicembre. «Se vincesse il No, Renzi dovrebbe dimettersi il giorno dopo», manda a dire l'editore di Repubblica Carlo De Benedetti. Che si dice anche convinto, però, che il leader del Pd non lascerebbe per questo la politica: «E per fortuna, perché ha dimostrato di avere energia e qualità». Il presidente del Consiglio non risponde direttamente e neppure cita l'Ingegnere (anzi, si affretta a dire di non avere ancora letto il Corriere della Sera, che ne riporta l'intervista), ma in realtà non smentisce il succo di quanto De Benedetti cita: «Sono convinto dal primo giorno che questo paese ce la possa fare, e non intendo mollare di un centimetro rispetto a questo obiettivo». Però, aggiunge, «Se uno perde va a casa, e questo è legittimo e fa parte del gioco della democrazia. Ma se c'è una cosa che non farò mai - avverte - è rinunciare a lavorare per il bene del paese e per il nostro disegno strategico: giù le tasse, su il morale e la crescita».
Le dimissioni da capo del governo, se sconfitto nel referendum, restano insomma sul tavolo. E su questo Renzi non ha mai cambiato idea: «Farò quel che ho sempre detto che avrei fatto», ha ripetuto in più occasioni. Tanto che il suo alleato Angelino Alfano lancia il suo appello per scongiurarlo: «La mia idea è che se vince il no bisogna andare avanti con questo governo, perché se cadesse non ci sarebbero alternative». Ma per Renzi questo aspetto non deve diventare l'argomento politico centrale della partita referendaria. Nella quale il premier si sta gettando a capofitto: personalizzazione o meno, sarà lui il frontman della campagna elettorale, nella convinzione che sia possibile, nei prossimi due mesi, spostare masse di consenso verso il Sì. Centinaia di appuntamenti, in tutta Italia, che prenderanno ufficialmente il via oggi proprio dalla natia Firenze, con una manifestazione alla ObiHall. Una ricorrenza e un luogo scelti per ricordare l'inizio della corsa del Renzi «uomo del cambiamento», quando lanciò la sua vittoriosa scalata al Pd della perdente Ditta. E poi una serie di confronti con i nemici-simbolo della sua riforma: dopo Smuraglia e Travaglio, domani sera sará la volta di un faccia a faccia col torvo professor Zagrebelsky. E non viene escluso neppure un match memorabile, quello con l'arcinemico Massimo D'Alema.
Un nome che Renzi non rinuncia mai ad usare a mo' di spauracchio: «Berlusconi punta a fare un'operazione del tutto legittima, che è quella di tornare in campo assieme a D'Alema e a tanti altri che utilizzano il referendum per questo, e per fare una bella Bicamerale», dice. E intanto provvede a sminare il fronte giustizia: la riforma della prescrizione, in bilico al Senato, verrà accantonata: «Non metto la fiducia contro i magistrati».