E la sentenza manda al macero il partito dei giornalisti rosiconi

Avevano festeggiato per la condanna in primo grado e adesso sono andati in tilt. Dalla Berlinguer all'Annunziata al direttore di Repubblica, ecco il loro dramma

Il giornalista Marco Travaglio
Il giornalista Marco Travaglio

La rosicata sussiste, eccome se sussiste. Le prove sono schiaccianti. Se per la corte d'appello il reato non c'è, per il tribunale privato di Gad Lerner la condanna è già passata in giudicato. «Puttaniere era e puttaniere resta», twitta il giornalista («decisamente perplesso» dall'assoluzione), che dopo il primo grado aveva decretato «l'assoluta incompatibilità con incarichi da uomo di Stato» di fronte a quella «mole schiacciante di riscontri e di prove documentali» (tra cui, forse, diverse puntate del suo Infedele sul corpo della donna). Talmente schiacciante da portare al nulla. Bianca Berlinguer nell'edizione serale del Tg3 riesce a dare la notizia del giorno come quarta notizia del giorno (se l'avesse fatto Minzolini al Tg1... ). Una scaletta alla Ecce bombo: si nota di più se non la metto, o se la metto ma dopo le altre?
L'assoluzione polverizza qualche migliaio di titoli di giornale, di editoriali, centinaia di ore di talk show, di simulazioni con attori (copyright Santoro), di libri (anche a fumetti), di interventi con applauso dello studio. Il rosicamento è inevitabile, dopo aver brindato alla schiena dritta dei giudici quando la sentenza era di condanna (7 anni di reclusione). Lucia Annunziata, ex presidente di garanzia Rai, direttore dell'Huffington Post (Gruppo Espresso), non l'ha presa benissimo. «La guerra è finita e noi la abbiamo persa. Per venti lunghi anni abbiamo dubitato del nostro premier, lo abbiamo chiamato puttaniere, e lo abbiamo accusato di uso privato del suo potere. Sbagliato». Ma non è una resa delle armi, perché poi se qualcuno ha vinto lo ha fatto col trucco. «Penosa è l'assoluzione dal reato di concussione» scrive l'Annunziata, dunque hanno sbagliato i giudici a non vederla nella telefonata alla Questura di Milano. E poi, il sospetto: «I giudici sono molto attenti ai climi stagionali, come spiegarsi altrimenti oscillazioni così radicali tra il massimo di una sentenza e la assoluzione?». Dunque, per far contento Renzi, l'Appello ha assolto il leader di Forza Italia.
Effetto collaterale del rosicamento, infatti, è il ribaltamento completo delle parti. Ora è a sinistra che si dubita dell'imparzialità dei giudici, condizionati dal patto del Nazareno, toghe renzianizzate, e quindi, per proprietà transitiva, generose col puttaniere. Lerner è perplesso dalla sentenza, l'Annunziata si chiede se la corte d'appello non abbia graziato Berlusconi per aiutare il governo, mentre Travaglio «a naso» è convinto che «hanno sbagliato i giudici di appello», ma si attendono le motivazioni. Anche l'Unità si dissocia dai magistrati di Milano, colpevoli di non aver confermato le condanne penali già emesse dalla redazione. Se - come dice l'avvocato Coppi - i giudici hanno creduto a Berlusconi, «questo non vuol dire che dobbiamo credergli anche noi», osserva il giornale fondato da Gramsci e affondato dai direttori messi dal Pd. Le condanne si rispettano e non si commentano, le assoluzioni si interpretano a piacere. Anche il Manifesto si spiace per la «grazia ricevuta» dai giudici milanesi, che la direttrice Rangeri sfotticchia per aver creduto alla panzane di Berlusconi: «Quelle telefonate alla questura di Milano erano semplicemente un gesto umanitario verso una ragazza. E come avrebbe potuto sapere un premier, privo di collaboratori e informatori, immaginare che l'oggetto delle sue paterne cure fosse una minorenne in cerca di protezione e denaro in cambio di sesso?». Non poteva non sapere, e chi ci crede - come i giudici - è fesso. Che in un processo poi servano prove per definire un fatto è aspetto secondario. Alla condanna etica deve seguire quella penale, e se non accade c'è qualcosa sotto.
Compito difficile per il direttore di Repubblica, il giornale che si è intestato la battaglia sul caso Ruby (le dieci domande). «Un rovesciamento clamoroso che cancella due accuse infamanti» riconosce Ezio Mauro, e non in un processo qualsiasi, ma «nella madre di tutte le battaglie di Berlusconi con la magistratura».

E ora, dunque, finito (Cassazione a parte)? No, perché «resta da spiegare il motivo di quelle bugie enormi, il terrore che Ruby restasse in mano alla questura», e tanto altro. «Non si tratta di ipotesi criminali, dopo la sentenza d'appello», ma anche «nulla di moralistico, di voyeuristico», assicura il direttore. Altre dieci domande e più. Quando sarà finita la lunga rosicata.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica