Ecco che fine hanno fatto le italiane sposate ai jihadisti

Le nostre connazionali nei racconti delle mogli degli altri mujaheddin: «Una è morta lapidata per adulterio»

U na giovane jihadista italiana è stata lapidata a Raqqa dalla polizia religiosa colpevole di rapporti sessuali extraconiugali. Sonia Khediri partita per la Siria da Treviso ha sposato l'emiro tunisino Abu Hamza, il numero due delle difese della «capitale» assediata dello Stato islamico. Maria Giulia Sergio, la prima italiana convertita ad arruolarsi nella guerra santa, ha vissuto fino allo scorso anno in una zona militarizzata vicino ad una diga sull'Eufrate, ma poi è sparita nel nulla.

Le storie delle jihadiste italiane, inghiottite nel caos siriano, sono state raccontate al Giornale dalle mogli dell'Isis, un gruppo di straniere, che con i loro mariti mujaheddin, si sono arrese ai curdi che avanzano a Raqqa. «Sonia l'ho conosciuta due mesi fa e siamo diventate amiche. Volevamo che si consegnasse anche lei, ma suo marito Abu Hamza è un emiro e ha giurato: Sono pronto a morire in battaglia con mia moglie» racconta una veterana tunisina arrivata in Siria cinque anni fa assieme al consorte jihadista, che i curdi stanno interrogando. Khadeja Aum Barqa coperta dal velo nero dalla testa ai piedi ha voglia di parlare. La moglie del jihadista tunisino vive segregata con altre sei consorti delle bandiere nere in una zona separata del campo profughi di Ein Hissa dove arrivano gli sfollati da Raqqa. Nel gruppo di donne simili a fantasmi neri a causa del niqab, come se vivessero ancora nel Califfato, fanno parte anche una cecena con i figli dalla pelle bianchissima, delle indonesiane e una libanese. Fino a poco tempo fa c'erano anche una moglie francese e un'altra tedesca dell'Isis. «Sonia mi ha raccontato di quando viveva in maniera libera in Italia, ma poi, durante un viaggio a Tunisia è rimasta affascinata da un predicatore specializzato nel convincere le giovani donne a unirsi al Califfato» spiega Khadeja la moglie tunisina dell'Isis. Il cattivo maestro fa parte di Ansar al Sharia, gruppo estremista che conta fra i capi diversi jihadisti tunisini vissuti in Italia. Da Treviso la 19enne si è messa in contatto via rete con il lupo, bello, biondo e palestrato. Un adescatore tunisino online che organizza il viaggio delle giovanissime dall'Europa a Raqqa» racconta Khadeja. Una volta a Raqqa, via Turchia, Sonia voleva sposare «il lupo», ma è stato dato per morto in Iraq. «Allora si è proposto Abu Hamza, che però ha 38 anni, molti di più dell'italiana» fa notare la testimone tunisina. «Penso che Sonia volesse scappare anche lei come noi, ma il marito l'ha mandata ad Al Mayadeen (a Sud Est di Raqqa, nda) la nuova capitale dello Stato islamico» rivela. Sonia ha avuto una bambina ed è di nuovo incinta. Ad Al Mayadeen sarebbe in contatto con un'altra jihadista italiana, la convertita Alice Brignoli, nata a Bulciago nel lecchese, che si è portata in Siria i figli seguendo il marito marocchino.

Una delle mogli dell'Isis con i lineamenti ancora da ragazzina, Nour la libanese, ci racconta una storia drammatica. «Lo scorso anno vivevo con una giovanissima italiana nella casa nera, una specie di guest house delle donne straniere a Raqqa. Un giorno non è rientrata. Mi hanno detto che la polizia religiosa l'aveva arrestata per aver fatto sesso con un ragazzo locale». L'italiana usciva di nascosto di notte, ma la polizia religiosa l'ha seguita e scoperta, anche se non colta in flagrante. «Le hanno detto che se confessava il peccato sarebbe stata perdonata e lei ha ammesso la relazione extraconiugale - spiega la giovane libanese già madre - È stata portata vicina alla moschea Al Nour e lapidata a morte». Le mogli dell'Isis non conoscono il suo vero nome, ma la identificano con quello assunto a Raqqa, come Aum (madre) al Mugera Italano. Oltre a Sonia la seconda connazionale partita dall'Italia, ancora minorenne, è Sorella Rim, al secolo Meriem Rehaily, cresciuta in provincia di Padova in una famiglia di origini marocchine.

La più bella delle consorti dei mujaheddin del Califfo è Main, una siriana che ha sposato un combattente marocchino. Quando non viene fotografata tira su il velo e fuma parlando in ottimo inglese. «All'inizio credevamo nella terra dell'Islam, ma una volta arrivati a Raqqa il 90% dei migranti hanno capito ben presto che lo Stato islamico è una grande bugia» spiega l'attraente siriana. «I combattenti italiani nell'esercito dello Stato islamico sono pochi - aggiunge - 10 o 15 quelli in prima linea a Raqqa». Main è fuggita con figli e marito dopo aver letto i volantini lanciati dagli americani che spiegano come arrendersi e promettono clemenza.

Nessuna moglie dell'Isis conosce Maria Giulia Sergio, la prima italiana ad aderire al Califfato. Lady Jihad sembra un fantasma, ma la Digos di Milano l'aveva intercettata l'ultima volta nel luglio 2015 mentre cercava di convincere via Skype i genitori e la sorella a raggiungerla in Siria. Le comunicazioni partivano da Sed Forouk, una zona militarizzata dove si erge un'importante diga sull'Eufrate. I curdi l'hanno conquistata lo scorso anno, ma la diga era stata trasformata in centro jihadista con tanto di scuola religiosa per i bambini, i futuri mujaheddin chiamati «leoncini» del Califfo. La gente del posto ricorda il gruppo di miliziani albanesi del Califfo comandati da Abu Abdallah un mujahed con due spalle come un armadio. Fra i suoi uomini c'era Aldo Kobuzi, il marito di Maria Gulia Sergio, che girava con il velo integrale e aveva assunto il nome islamico di Fatima Zahra come la figlia del profeta Maometto. «Questo me lo ricordo l'ho incrociato più volte alla diga.

Faceva parte del gruppo albanese» conferma un dipendente dell'impianto indicando le foto sul telefonino del marito di Giulia alias Fatima rese note nell'inchiesta milanese che l'ha condannata a dieci anni di carcere. Dopo la liberazione della diga, nel gennaio 2016, le tracce di Lady Jihad si sono perse nel nulla.

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