Roma La vita si allunga e anche l'età lavorativa deve seguire questa tendenza positiva della demografia. La logica alla base dell'adeguamento dell'età pensionabile alle speranze di vita à chiara. Ma, man mano che si chiarisce il quadro, le conseguenze iniziano a preoccupare pensionandi e, soprattutto, giovani lavoratori che vedono svanire le poche speranze di avere una rendita a fine carriera.
L'innalzamento è frutto di una legge del 2010 e anche della riforma Fornero. Nel senso che l'ultimo drastico inasprimento dei requisiti della pensione del governo Monti è stato sommato al meccanismo della legge precedente, che molti osservatori internazionali consideravano fosse sufficiente, da solo, a garantire l'equilibrio dei conti della previdenza italiana.
Dopo il primo aumento del 2013 (tre mesi) e quello del 2016 (4 mesi), il prossimo scalino sarà appunto quello del 2019, che porterà l'età pensionabile a 67 anni tondi per uomini e donne. Aumento di ben 5 mesi, messo in discussione più volte ma poi confermato sia dalla Ragioneria generale dello Stato (che lo aveva in un primo momento messo in discussione) e poi dall'Istat e anche dall'Inps.
Un primo scatto che farà sentire i suoi effetti sui alcuni 65 enni di oggi, che speravano nel ritiro in due anni, ma dovranno aspettarne un po'. Effetto, è bene ricordarlo, non di un cambiamento della normativa, ma dall'applicazione delle leggi in vigore. Gli effetti più rilevanti si sentiranno con gli anni e peseranno soprattutto sulle generazioni future. I prossimi scatti avverranno con cadenza biennale e non è prevista alcune correzione al ribasso rispetto ai 67 anni. Anche se le speranze di vita dovessero diminuire, come era già successo nel 2015, l'età del ritiro aumenterà.
I prossimi adeguamenti avverranno con cadenza biennale, nel 2021 (nelle simulazioni già spunta un aumento di tre mesi), 2023, 2025 e così via. Gli aumenti potranno essere di due o di tre mesi. Quindi l'età pensionabile potrebbe aumentare di 12 mesi tra otto anni o 12 anni. Nel 2031 l'età della pensione potrebbe arrivare da 68 anni e un mese a 68 anni e otto mesi.
Un lavoratore nato nel 1960, che paga contributi dal 1987, potrà ritirarsi a 67 anni e 9 mesi, secondo lo scenario meno drastico. Uno della leva 1970, al lavoro dal 1997, a 69 anni e 3 mesi. Del 1988, con un contratto firmato nel 2007, taglierà il traguardo dei 70, come ha più volte denunciato il presidente dell'Inps Tito Boeri (che peraltro è uno strenuo difensore del meccanismo automatico di adeguamento). I neoassuni, nati negli anni Novanta e freschi di laurea, si avvicineranno inesorabilmente alla soglia dei 71. Un 20enne deve iniziare a immaginare il ritiro dal lavoro intorno ai 74 anni di età.
Generazioni abituate alla precarietà, che generalmente non mettono nemmeno in conto l'idea di ritirarsi con un assegno (se non quello che potrebbe venire da investimenti privati). Gli automatismi combinati delle varie riforme fanno infatti sentire i loro effetti soprattutto nelle generazioni di mezzo.
Quelle che, nel 2011 erano convinte di potere ritirarsi tra i 63 e i 65 anni e ora, tra Fornero e adeguamento alle aspettative di vita, si avvicinano ai 70 anni. Sono anche le generazioni che avranno la pensione calcolata interamente con il sistema contributivo. Se i conti della previdenza italiana sono nei guai, non è certamente per colpa loro.
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