Taglio dei parlamentari e nuova legge elettorale proporzionale. I due dossier in queste ore si stanno intrecciando in Parlamento, sullo sfondo ci sono i calcoli dei partiti sulla propria convenienza ad andare al voto con il vecchio sistema oppure con uno nuovo metodo, cucito su misura per le proprie esigenze. Partiamo dai fatti. A sorpresa alcuni parlamentari firmatari della richiesta di referendum (l'iter va completato entro il 13 gennaio e servono non meno di 64 firme) hanno deciso di ritirare all'ultimo momento il proprio appoggio alla richiesta di consultazione referendaria da depositare in Cassazione. I protagonisti del blitz arrivano dalle file di Forza Italia (tutti dell'area che fa riferimento a Mara Carfagna) ma anche dentro Pd, raccontano fonti vicine al partito di Zingaretti, ci sarebbero diversi parlamentari in dubbio sul ritiro della firma. Perché? Nei corridoi del Parlamento si dà una lettura, c'è chi sostiene che la mossa degli azzurri legati alla Carfagna sia dettata dalla volontà di non destabilizzare la legislatura e non dare un potere in più a Salvini per tornare alle urne. I quattro senatori si sarebbero accorti che la loro posizione poteva essere strumentalizzata per altri fini, di qui il dietrofront. Lo svolgimento del referendum in tarda primavera, infatti, aprirebbe una finestra utile per tornare al voto anticipatamente e prima dell'entrata in vigore del taglio degli eletti, eleggendo così tutti e 630 gli attuali parlamentari. Tanti posti in palio, quindi, anche per arruolare i molti grillini pronti a mollare Di Maio e buttarsi con Salvini per farsi un altro giro della giostra. Non a caso, si fa notare, la Lega si è subito messa al lavoro per firmare le richieste di referendum che verranno a mancare. Siccome però il referendum sarebbe una mina per il governo, l'interpretazione di altri è che da Fi sia partita una scialuppa di salvataggio per il governo. Se la raccolta firme in Parlamento dovesse naufragare, il referendum potrebbe comunque tenersi, visto che i Radicali hanno annunciato che depositeranno stamattina in Cassazione le firme raccolte da loro.
Ma poi, strettamente legato a questo, c'è l'altro fatto, il varo di una bozza di nuova legge elettorale, denominata «Germanicum» anche detto «Brescianellum», come consuetudine dal nome del suo artefice, il deputato M5s Giuseppe Brescia. (secondo Calderoli invece trattasi di un «peto della maggioranza, quindi è il Petellum») Si tratta di un proporzionale puro, con una soglia di sbarramento alta, al 5%, punto a cui tiene il Pd perché punta così a far fuori i partitini a sinistra e inglobarne l'elettorato. I listini bloccati, poi, non vengono cancellati e sostituiti dalle preferenze, la questione viene rimandata ad ulteriore analisi parlamentare. Rinvio che fa intuire che resteranno i listini bloccati. Ma è soprattutto il proporzionale che serve, sia al Pd che al M5s, per disinnescare il rischio di una vittoria del centrodestra e un dilagamento di Salvini. Dal centrodestra arrivano infatti subito le bocciature del Germanicum, tedesco di nome ma italianissimo di fatto.
Per Fi il proporzionale «è il ritorno ad un passato deleterio», per Fdi «una palude da Prima Repubblica», mentre per Salvini la prova che «il Pd ha nostalgia della vecchia politica e dei ribaltoni». I giallorossi però sono ottimisti sulla riuscita dell'operazione, «è un buon compromesso per una legge accettabile, su cui è d'accordo Zingaretti» assicura il capogruppo Andrea Marcucci.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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