A volte i vocabolari ingannano. Noi traduciamo il termine arabo sh ahid con martire. Ma nell'iconografia cristiana i martiri sono quelli che piuttosto di rinnegare la propria fede vanno incontro alla morte, non persone che, uccidendo se stesse, uccidono altre persone. E nell'iconografia risorgimentale i martiri sono le vittime generose di un gesto eroico, dove conta l'olocausto della propria vita, non le vite altrui trascinate nell'abisso.
Da tempo il fondamentalismo terrorista ci sbatte in faccia una sfida: noi amiamo la morte come voi amate la vita. È il confronto fatale tra due mondi: in uno c'è il culto della morte come estrema profferta di sé a un dio guerriero, confortata dalla promessa di un paradiso dove le vergini accolgono a braccia aperte l'eroe, tra fiumi di latte e di miele. Nell'altro, il nostro mondo, dove il rapporto con la morte si è fatto asettico e innominabile, dove si vive come se potessimo essere sempre sani e giovani, e la visione del dopo è affidata ai ricordi da oratorio, perché il presente terreno è tutto. Questi due modi di vedere la morte, e il suicidio/omicidio del combattente si è presentato alla storia moderna già nella guerra tra l'Irak di Saddam Hussein e l'Iran di Khomeini, quando schiere di ragazzini iraniani venivano mandati nei campi minati, per sminarli con i loro corpi e aprire la strada alle truppe.
Lo catalogammo, allora, come una follia di guerra, destinata a non coinvolgerci. Ce ne accorgemmo a Beirut, nel 1983, quando un terrorista suicida a bordo di un camion carico di esplosivo fece strage di marines americani, in una base poco lontano dall'aeroporto. L'ingresso della base era munito di tutte le protezioni possibili, ma alla luce di un principio semplice: nessuno si potrà avvicinare a questa base, da vivo. Non si pensava, allora, alla possibilità che qualcuno, coscientemente, andasse incontro alla morte, pur di uccidere. Ce lo hanno ricordato, negli anni, centinaia di attentati, dalle torri gemelle a Nassiriya.
Con gli attentati a Gerusalemme, gli shahid sono diventati più leggeri, e mortalmente invisibili: bastava una cintura esplosiva per trasformare un autobus o una discoteca nella scena di una strage di innocenti. E proprio in Cisgiordania abbiamo imparato la dimensione «religiosa» del martirio islamico, e la sua gestione politica: la notte trascorsa in preghiera, le ultime abluzioni, il messaggio video registrato, i parenti che distribuiscono dolcetti dissimulando il dolore, e ostentando fierezza. Poteva lo Stato Islamico non aggiungere qualcosa alla fiera degli orrori ? Ha aggiunto, come vedremo stasera nel servizio di Sabina Fedeli e Anna Migotto, la documentazione live del martirio terrorista. C'è il suicida, spesso già alla guida del mezzo imbottito di esplosivo, che recita i suoi proclami, così incomprensibili alla nostra ragione da sembrare inebetito, follemente estatico sull'orlo della morte. Poi vediamo il veicolo, blindato per consentire al guidatore di raggiungere l'obbiettivo, puntare il nemico, e l'esplosione e le invocazioni alla grandezza di Allah.
Tra questi tagliagole Fedeli e Migotto hanno trovato il gemello di un ragazzo tunisino che avevano intervistato poche settimane fa, incapace di darsi pace davanti alla scelta del fratello, uno delle centinaia di giovani che dalla Tunisia, fragile baluardo democratico contro la marea fondamentalista, hanno raggiunto lo Stato Islamico. Tra i suicidi/omicidi c'è forse un ragazzino australiano, che ha raggiunto il jihad come altri connazionali (ma vi sono aussies anche sull'altro fronte: i curdi hanno da poco onorato le spoglie di un combattente australiano che si era unito a loro).
Perché raccontare i suicidi dello Stato islamico ? Perché, se un bel giorno il califfato venisse cancellato, ci troveremmo comunque centinaia di superstiti assetati di vendetta in giro per il mondo. La puntata di Terra! racconta anche il centro richiedenti asilo più grande d'Europa, a Mineo, in Sicilia, dove trovano conferma i timori che ormai il traffico di esseri umani sia gestito dai fondamentalisti, spiega attraverso l'esperienza di archeologi italiani quella «guerra al passato e alla memoria» che ha portato lo Stato Islamico a distruggere musei e siti archeologici, e mette a confronto due contrapposti Islam italiani.
Ma vale la pena di anticipare la conclusione del
servizio sui suicidi islamici: un camion blindato punta una postazione curda, ma viene colpito ed esplode prima del tempo, tra le urla di giubilo dei curdi. Il morituro, almeno in parte , è stato accontentato.
di Tony Capuozzo
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