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Ecco perché la Corte europea può riaprire il caso Berlusconi

Gli ultimi sviluppi hanno ampliato i dubbi sulla sentenza. Dall’equo processo al giudice, tutto quello che non torna

Ecco perché la Corte europea può riaprire il caso Berlusconi

Non è possibile fino a questo momento comunicare quando la Corte esaminerà il ricorso in oggetto». Giuseppe Conte e Alfonso Bonafede possono stare calmi: perché alle 16 di ieri la Corte europea dei diritti dell’uomo fa sapere che la pratica 8683/14, «Silvio Berlusconi vs.Italy», nonostante i sei anni trascorsi, non è ancora pronta ad essere affrontata. Ma prima o poi i giudici di Strasburgo dovranno decidersi ad esaminare il ricorso del Cavaliere. E a quel punto il capo del governo e il suo ministro della Giustizia, ammesso che per allora siano ancora in carica, dovranno uscire dal silenzio in cui in questi giorni si sono chiusi davanti alle novità sconcertanti emerse sulla sentenza della Cassazione che nell’agosto 2013 rese definitiva la condanna di Berlusconi per frode fiscale. Proprio quella sentenza è al centro del ricorso del leader di Forza Italia alla Corte europea. E davanti alla Corte il nostro governo per legge deve prendere posizione. Cosa faranno, Conte e Bonafede? Faranno finta di niente, e chiederanno la bocciatura del ricorso? O prenderanno atto che le ultime scoperte gettano un’ombra inquietante sulla correttezza di quella decisione? Gli sviluppi più recenti hanno ampliato in modo consistente gli elementi di dubbio che le difese del Cav potranno sottoporre a Strasburgo. Finora il piatto forte era la violazione dell’articolo 6 della convenzione europea, quello che garantisce il diritto a un equo processo, sotto l’aspetto della mancata imparzialità del giudice: e qui lo staff legale di Berlusconi puntava sulle numerose attestazioni del pregiudizio colpevolista di Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale della Cassazione che pronunciò il verdetto, rafforzate da ultimo dalle rivelazioni da parte di Renato Franco, il membro dissidente della sezione, che parlava di un «plotone di esecuzione». Ma ora si sono aggiunte le tracce della violazione di un altro principio cardine della convenzione, che sempre all’articolo 7 stabilisce che il giudice deve essere «stabilito per legge». Esattamente il contrario di quanto accaduto a Berlusconi: il giudice stabilito per legge, in base ai turni della sezione feriale, doveva essere il collegio presieduto da Renato Franco. E solo due errori provvidenziali permisero che il fascicolo arrivasse all’udienza di Esposito. Il primo, quello commesso dalla Corte d’Appello di Milano che in un primo momento aveva indicato nell’1 agosto la prescrizione dei reati, anziché nel 14 settembre; il secondo, di autore ignoto, che fece disperdere per quattro giorni nei meandri della Cassazione il fax della Corte d’Appello milanese che correggeva l’errore. Quando il dispaccio arrivò a destinazione, ormai era tardi. Sarà interessante, quando Strasburgo finalmente aprirà il caso e inviterà l’Italia a dire la sua, vedere se e come il governo riuscirà a sostenere che Berlusconi non è stato sottratto al suo giudice naturale. Sarebbe un atto di coraggio e di trasparenza, da parte del governo, ammettere che qualcosa nell’estate 2013 in Cassazione non andò secondo le regole. A quel punto, la condanna dell’Italia per violazione dell’articolo 6 della Convenzione potrebbe essere a portata di mano.

E non sarebbe una condanna solo simbolica: sulla base del verdetto europeo Berlusconi potrebbe chiedere la revisione del processo che portò alla sua estromissione dal Senato e a una condanna a un ingente risarcimento.

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