Anche le big delle polizze devono fare i conti con la mina dello spread tra Btp e Bund. Perché l'esposizione delle assicurazioni italiane ai titoli pubblici del Paese in Italia resta più alta rispetto al resto d'Europa: oggi degli 850 miliardi di investimenti complessivi del settore oltre 300 sono in titoli di Stato italiani. In mezzo alle onde agitate dalla Manovra del governo gialloverde sui mercati, il numeretto che le compagnie assicurative tengono costantemente monitorato è quello relativo all'indice di solvibilità che misura il livello di patrimonializzazione, per non scendere sotto ai requisiti minimi chiesti dalla Vigilanza europea in base alle regole del Solvency II introdotte da gennaio 2016. Più sale lo spread, più quell'indice scende. E quindi bisogna intervenire sulla «dote» di debito pubblico che può zavorrare i bilanci. «Con l'aumento della volatilità osservato nelle ultime settimane sullo spread Cattolica Assicurazioni ha fatto piccole operazioni tattiche in portafoglio per ridurre l'esposizione sui Btp di lunga durata, che sono particolarmente volatili», ha annunciato ieri l'ad della compagnia veronese, Alberto Minali, a margine di un evento a Milano.
La volatilità, insomma, costa e rischia di rallentare la crescita organica di tutte le compagnie che quando scrivono i piani industriali devono mettere in conto il cuscinetto di capitale erodibile da un'improvvisa instabilità dei mercati. Risorse sottratte a investimenti o acquisizioni che condizionano le strategie dei manager assicurativi. Meglio quindi ridurre l'esposizione ai Btp: per Cattolica il peso è sceso sotto il 60% e l'obiettivo è di raggiungere il 50% entro il 2020. Anche UnipolSai si è alleggerita (ora ha 20 miliardi di titoli di Stato italiani «in pancia») ma ha stoppato la vendita nelle ultime settimane: «Le scelte di asset allocation si fanno quando il tempo è bello e non brutto. Quindi fare oggi mosse di riduzione dell'esposizione è quantomeno intempestivo», ha dichiarato ieri il direttore generale, Matteo Laterza. «Avevamo iniziato un percorso di riduzione della esposizione a titoli di Stato italiani, ovviamente non pensando che sarebbe accaduto quello che sta succedendo, ma proprio in una logica di riduzione del rischio posto che lo spread era arrivato a livelli che noi ritenevamo riflettessero completamente il rischio Italia», ha spiegato il manager del gruppo bolognese.
Dopo i copiosi investimenti effettuati tra il 2011 e il 2012, le assicurazioni hanno ridotto gli investimenti in titoli del settore pubblico, italiani ed esteri: tra marzo 2016 e giugno 2017 il peso dei governativi si è ridotto del 4% (17 miliardi) a fronte di un aumento di quello dei titoli privati e dei fondi comuni. Le Generali hanno invece aumentato leggermente il peso dei titoli di Stato italiani: dai 63,8 miliardi del 2015 ai 64,2 miliardi del 2017. Il Leone di Trieste ha comunque le spalle larghe: «C'è una sensibilità dell'indice Solvency agli eventi di mercato ma siamo capaci di assorbire uno shock rilevante sullo spread», ha dichiarato l'ad, Philippe Donnet, durante la presentazione della semestrale.
Quali contromisure possono prendere le compagnie, oltre a liberarsi di parte del peso? Sul tavolo, come ha spiegato di recente il presidente dell'Ivass e direttore generale di Banca d'Italia Salvatore Rossi, c'è la revisione dell'algoritmo chiamato volatility adjustment (aggiustamento della volatilità), scudo previsto dalla normativa Ue che serve appunto a mitigare i danni legati a improvvise fluttuazioni dello
spread ma che ha finora penalizzato le imprese italiane con meccanismi non lineari. In Europa si stanno ridiscutendo quelle norme e l'Ivass è pronta a lavorare per correggere le disparità tra i Paesi, ha fatto sapere Rossi.
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