Elezione del capo dello Stato Bufera (con giallo) su Grasso

No del presidente del Senato a emendamenti sul voto diretto dei cittadini. Gasparri (Fi) accusa: «Diceva che erano ammissibili, ha ceduto ai diktat Pd». E poi il governo va sotto sull'art 30

Elezione del capo dello Stato Bufera (con giallo) su Grasso

Roma - Secondo Maurizio Gasparri si tratta di una retromarcia vera e propria rispetto alle promesse fatte. Il presidente del Senato Pietro Grasso ha rispedito al mittente gli emendamenti di Forza Italia e Udc al ddl di riforma costituzionale del governo che introdurrebbero una forma di elezione diretta del presidente della Repubblica. L'impressione è che l'inquilino numero uno di Palazzo Madama abbia subito ancora una volta un diktat del Pd.

Martedì infatti sembrava proprio che gli emendamenti «presidenzialisti» fossero praticabili per Grasso. Ieri però in aula il capogruppo dem Luigi Zanda li ha bocciati spingendo Grasso, che si era detto possibilista, a prendere posizione subito. A quel punto il destino degli emendamenti era segnato. Poco dopo Grasso li ha sbianchettati appellandosi alla «valutazione di inammissibilità già svolta in commissione». Rabbia e sconcerto da parte di chi gli emendamenti li aveva presentati. Come Gasparri, appunto: «Grasso ieri (martedì, ndr ) mi aveva assicurato circa la loro ammissibilità. Oggi, dopo aver sentito il presidente dei senatori Pd Luigi Zanda, ha deciso diversamente». Il collega di FI Augusto Minzolini ha annunciato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo contro la gestione dell'aula del Senato da parte di Grasso, parlando di «decisione arbitraria» nei confronti della quale «non c'è alcun effettivo rimedio interno per far valere i profili di incompatibilità con la convenzione».

Quella sul presidenzialismo è stata la scia polemica di una giornata che ha visto i senatori chiamati a molti e pesanti voti. E che in tarda serata ha visto il governo andare addirittura sotto: è passato, con voto segreto (140 a 135), un emendamento di Sel all'articolo 30 che introduce nella Costituzione la competenza delle Regioni sulle materie che riguardano la «rappresentanza in Parlamento delle minoranze linguistiche».

In precedenza l'aula del Senato aveva dato il via libera tra gli altri all'articolo 21, che modifica il sistema di elezione del capo dello Stato, escludendo dalla platea i tre delegati in rappresentanza delle Regioni e modificando il quorum di elezione (ma si tratta di una soluzione «ancora perfettibile nel passaggio successivo alla Camera», spiega il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi); agli articoli 22-24, secondo cui il presidente della Repubblica potrà sciogliere solo la Camera dei deputati e, se sarà impossibilitato a svolgere le sue funzioni, verrà sostituito non più dal presidente del Senato, ma dal presidente della Camera stessa; all'articolo 25, secondo cui sarà solo Montecitorio a dare la fiducia al governo; all'articolo 27, che sopprime il Cnel; all'articolo 28, che abolisce le province. Capitolo referendum: due emendamenti dei relatori riportano da 800mila a 500mila le firme per proporre quello abrogativo (introducendo però quorum variabili a seconda del numero di firme presentate) e propongono l'introduzione di quello propositivo.

Infine un emendamento proposto da Anna Finocchiaro esclude dal computo dei 5 senatori di nomina presidenziale gli ex presidenti della Repubblica, «liberando» di fatto la casella oggi occupata da Carlo Azeglio Ciampi per un'ulteriore scelta del Colle.

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