
Quasi in zona Cesarini, quando la Procura di Torino si preparava a tirare le fila dell'inchiesta e mandarli a processo per truffa allo Stato, John Elkann e i suoi fratelli Lapo e Ginevra fanno la mossa che segna una svolta - per alcuni aspetti clamorosa - dopo anni in cui hanno rivendicato in ogni modo la propria innocenza. Scelgono di venire a patti, di limitare i danni pagando allo Stato i soldi che sono accusati di avere sottratto al fisco mentendo sulla residenza effettiva di Marella Agnelli, la loro nonna. Non è una ammissione di colpa, dicono, ma gli assomiglia molto. Con la somma, per loro quasi modesta, di 175 milioni di euro, i fratelli Elkann limitano le conseguenze incalcolabilmente maggiori che potevano venire da un processo penale e da una condanna senza attenuanti: conseguenze finanziarie, di immagine, societarie.
L'accordo col Fisco viene reso noto ieri da un comunicato dei tre Elkann, dopo che indiscrezioni su alcuni media avevano anticipato l'esistenza di una trattativa con l'Erario. La trattativa, dicono, è anzi già arrivata a conclusione, "con l'obiettivo di chiudere rapidamente una vicenda dolorosa sul piano personale e familiare". John e i fratelli sottolineano che "tale definizione è stata conclusa senza alcuna ammissione neppure tacita o parziale della fondatezza delle contestazioni inizialmente ipotizzate. Inoltre sono in atto interlocuzioni con la Procura della Repubblica di Torino, il cui esito non è al momento definito". Le "interlocuzioni", ovvero la trattativa in corso col Procuratore di Torino Giovanni Bombardieri e i suoi pm, secondo quanto si è capito ieri hanno un punto d'approdo già definito: il patteggiamento della pena. Il risarcimento al fisco d'altronde non estingue il reato, e i magistrati torinesi non hanno alcuna intenzione di ritrattare un'accusa che finora è sempre uscita confermata tutte le volte che gli Elkann hanno presentato ricorsi contro perquisizioni e sequestri. La trattativa, in corso da mesi, verte unicamente sull'entità della pena: pare che inizialmente i legali degli eredi Agnelli avessero chiesto di ricevere solo una pena pecuniaria, ma dalla Procura è arrivato un no. Così ora si starebbe ragionando su una pena detentiva commutata in affidamento ai servizi sociali. Sul tavolo della "interlocuzione" c'è un pacchetto completo, un accordo che consenta l'uscita di scena morbida oltre che ai tre fratelli ai loro collaboratori storici finiti anch'essi nel registro degli indagati.
Dietro la svolta c'è certamente la volontà di evitare la catastrofe mediatica di un lungo processo pubblico, in cui sarebbero state raccontate pubblicamente i capitoli meno nobili della saga di famiglia: dalla costituzione del gigantesco tesoro estero accumulato da Gianni Agnelli, agli artifici contabili - intorno alla finanziaria capofila, Dicembre - realizzati per garantire a John il pieno controllo. Ma il vero obiettivo è evitare le ripercussioni che una eventuale condanna in sede penale avrebbe avuto sulla lunga battaglia legale dei tre con la mamma Margherita Agnelli. Se donna Marella, come sostengono i pm torinesi, in realtà viveva a Torino e non in Svizzera, il fisco italiano è stato frodato per anni.
Ma l'altra conseguenza è che il patto con cui Margherita Agnelli, prima della morte di Marella, accettò una buonuscita al posto dell'eredità è carta straccia, perché è ammesso in Svizzera e non in Italia. Margherita, se vincesse la causa, avrebbe diritto a miliardi.