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Elly, giù le mani da Marcinelle

Giù le mani da Marcinelle. La sinistra prova (come ogni anno) a mettere la firma sulla tragedia di Marcinelle in Belgio dell'8 agosto 1956

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Giù le mani da Marcinelle. La sinistra prova (come ogni anno) a mettere la firma sulla tragedia di Marcinelle in Belgio dell'8 agosto 1956. La leader Pd Elly Schlein ha accostato quel sacrificio agli ideali di «accoglienza, libertà di movimento dei lavoratori e portabilità dei diritti sociali» che lei vorrebbe contrapporre «alle barriere dettate da egoismi nazionalistici». Ma quando non si studia la Storia, o peggio quando la si vuole manipolare, si mescolano suggestioni e vicende che solo apparentemente sono sovrapponibili. Nelle viscere della miniera belga di Bois du Cazier a 975 metri di profondità un crollo seppellì 262 minatori, 136 dei quali italiani (tra cui 52 alpini) provenienti dalle zone più povere del nostro Paese. Dell'incidente fu accusato ingiustamente il nostro Antonio Ianetta, che per chiamare l'ascensore tranciò un tubo per il petrolio e i cavi della corrente elettrica, scelleratamente troppo vicini. Estintori zero, l'impianto era fatiscente. I soccorritori dopo due giorni di ricerche inciamparono in una scritta su un pezzo di legno (Fuggiamo verso la nuova galleria). Ora, è fuorviante accreditare la strage di disperati nel Mediterraneo a questi morti e alla stretta sull'immigrazione clandestina, dimenticando ad esempio la strage del 1997 in cui morirono 85 albanesi che scappavano dalle macerie del comunismo, speronati dalla nave della Marina in pattugliamento su ordine da Romano Prodi. E la Schlein parla di accoglienza? Di libertà di movimento? Di portabilità dei diritti sociali? La leader Pd ignora che in Belgio (ma anche altrove) eravamo trattati come degli schiavi, eravamo «deportati economici» sacrificati in cambio di 200 chili di carbone al giorno. «Imparate le lingue e partite, aiuterete l'Italia», era il mantra di Alcide De Gasperi, che spedendo manodopera destinata alla disoccupazione in giro per l'Europa provava a disinnescare la bomba sociale del primissimo Dopoguerra e a (ri)costruire un continente dilaniato anche dalla contrapposizione con l'Est Europa. Ne partirono duemila a settimana, 150mila in tutto in direzione Namur, nel cuore dei bacini carboniferi del Paese, dopo un passaggio a Milano nell'ex caserma a Piazza Sant'Ambrogio per verificare le condizioni di salute, pena l'onta di tornare a casa a mani vuote. In più di ottocento morirono con addosso divisa blu di tessuto povero, fazzoletto rosso e casco, insultati gueules noires (musi neri) o macaronì, dopo aver vissuto in baracche di lamiera eredità dai lager, senza elettricità e con i cessi all'aperto. Altro che portabilità dei diritti. Negli anni Sessanta il ministero del Lavoro mandò in Europa un manipolo di funzionari, facendo nascere una legislazione innovativa in materia che la sinistra ha demolito, vedi la depenalizzazione del reato di «mancata denuncia dell'infortunio mortale di un lavoratore italiano all'estero» firmata Enrico Letta negli anni Novanta, che tante storture ha partorito. Prima di dare lezioncine bisognerebbe studiare.

E dopo, tacere.

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