Elezioni Regionali 2020

Emilia Romagna, ascesa e declino del M5S

L’Emilia Romagna, la terra di Peppone e Don Camillo, ha vissuto sempre di tortellini e politica, ancor prima che arrivasse Giovanni Guareschi con i suoi racconti. Qui è nato il socialismo, il fascismo e qui è morto il Pci. Dal voto di ieri dipendono le sorti del M5S

Emilia Romagna, ascesa e declino del M5S

L’Emilia Romagna, la terra di Peppone e Don Camillo, ha vissuto sempre di tortellini e politica, ancor prima che arrivasse Giovanni Guareschi con i suoi racconti. Qui è nato il socialismo e Mussolini ha dato vita al fascismo. Qui il Pci è morto e il centrosinistra è risorto grazie a Romano Prodi e, sempre in Emilia Romagna, si decretano le sorti del M5S dopo una sonora sconfitta alle elezioni Regionali.

Emilia Romagna laboratorio politico

L’Emilia Romagna è sempre stato il più grande e importante laboratorio politico. È il 1893 quando, con il congresso di Reggio Emila, nasce il Partito Socialista dei lavoratori italiani, evoluzione del Partito dei Lavoratori italiani fondato un anno prima a Genova. Nel 1895, in occasione del Congresso di Parma, questa nuova formazione politica assume il nome di Partito Socialista Italiano (Psi) che diventa la prima organizzazione politica degna, dal punto di vista degli storici, di potersi definire a tutti gli effetti “un partito”. Dalla provincia di Forlì, precisamente da Predappio, inizia la carriera politica del socialista-rivoluzionario Benito Mussolini che, dopo aver rotto col Psi e aver lasciato la direzione de L’Avanti, si dedica alla nascita dei Fasci di Combattimento, i precursori del Partito Nazional-Fascista. Siamo intorno agli anni ’20, nel cosiddetto biennio-rosso, quando i grandi latifondisti della Pianura Padana si rivolgono agli squadristi fascisti per fermare gli scioperi dei braccianti. È in queste terre che nasce e si diffonde il fascismo, grazie a personalità come lo squadrista Leandro Arpinati, nato a Civitella di Romagna, in provincia di Forlì oppure Italo Balbo, l’aviatore originario di Quartesena, una frazione di Ferrara. Dino Grandi, il gerarca che mise in minoranza Mussolini all’interno del Gran Consiglio e che, di fatto, decretò la fine del fascismo, era natìo di Mordaro, in provincia di Bologna.

L'Emilia Romagna, terra di svolte politiche

Ma l’Emilia Romagna ha dato i natali anche ad una buona fetta della classe politica italiana. Per la Prima Repubblica basti ricordare: il fondatore del MSI Giorgio Almirante (Salso Maggiore Terme, Parma), lo storico segretario del Psi Pietro Nenni (Faenza, Ravenna) e i democristiani Benigno Zaccagnini (sempre originario di Faenza) e Giuseppe Dossetti (nato a Genova ma cresciuto in provincia di Reggio Emilia). Autorevoli esponenti della Seconda Repubblica, invece, sono Romano Prodi (Scandiano, Reggio Emilia), Pier Luigi Bersani (Bettola, Piacenza), Pier Ferdinando Casini (Bologna), Gianfranco Fini (Bologna) e Dario Franceschini (Ferrara). Anzi, non è azzardato affermare che la Seconda Repubblica è nata proprio in Emilia dal momento che Achille Occhetto ha ‘mandato in pensione’ il Pci proprio con la svolta della ‘Bolognina’ del 1991. Il 23 novembre del ’93, invece, può considerarsi la data ‘ufficiosa’ della discesa in campo di Silvio Berlusconi che, in occasione dell’inaugurazione dell’Euromercato di Casalecchio di Reno, fece il suo endorsement a favore del segretario del MSI, in corsa per la poltrona di sindaco della Capitale: "Se fossi a Roma voterei per Fini". Il bolognese Fini. E, sempre nel capoluogo dell’Emilia Romagna, nel 1995 Massimo D’Alema trova il rivale, la nemesi perfetta di Berlusconi: il professor Romano Prodi, due volte alla guida del Paese con il sostegno del centrosinistra. Sostegno, a dire la verità, assai poco duraturo.

Il M5S, il primo 'Vaffa-Day'

Bologna è la città da cui Beppe Grillo fa partire la sua crociata anti-casta presenziando al primo ‘Vaffa-Day’ dell’8 e 9 novembre 2007, quando chiama a raccolta i suoi sostenitori per lanciare una raccolta firme. Lo scopo del comico genovese è quello di presentare in Parlamento una legge di iniziativa popolare che preveda la reintroduzione delle preferenze, il vincolo dei due mandati e l’impossibilità di candidare i condannati. Siamo agli albori del Movimento Cinque Stelle, anzi persino dei meet-up eppure Grillo lancia la sua sfida al sistema politico della Seconda Repubblica dalla città che, a ragione, potremmo definire la ‘Capitale della sinistra italiana’, governata dal centrodestra solo per un quinquennio con l’indipendente Giorgio Guazzaloca. Il Pd è nato ufficialmente da poche settimane (per l’esattezza il 14 ottobre) e già si trovava a dover fronteggiare la concorrenza dei grillini, un competitor molto diverso dalle attuali sardine, che non sono un fenomeno antisistema, ma inglobato nel sistema. Grillo, oggi grande sostenitore dell’alleanza organica col Pd, all’epoca non faceva distinzione tra destra e sinistra: per lui esistevano solo il Pdl e il Pdmenoelle.

Ascesa e declino del M5S in Emilia

Il M5S, com’è noto, nascerà soltanto dopo le Europee del 2009, per la precisione il 4 ottobre, giorno della festa di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia e simbolo della parsimonia che Grillo intende contrapporre agli sprechi della ‘casta’. L’esordio elettorale in Emilia-Romagna avviene nel 2009 quando Giovanni Favia viene eletto consigliere comunale a Bologna, mentre l’anno seguente si candida come governatore alle Regionali ottenendo appena il 7% dei consensi. L’esperienza del giovane Favia all’interno del M5S dura, però, solo pochi anni perché nell’aprile 2012 viene cacciato da Beppe Grillo in quanto colpevole di aver partecipato alla trasmissione Servizio Pubblico di Michele Santoro. Nello stesso periodo viene espulsa anche Federica Salsi, consigliera comunale di Bologna che, esattamente come Favia, venne accusata di aver partecipato a un programma televisivo senza il consenso dei vertici del M5S. Entrambi si erano, poi, resi colpevoli di aver proferito delle critiche nei confronti sia di Grillo sia di Gianroberto Casaleggio. “Qui in Emilia abbiamo anticipato i successi e ora anticipiamo i problemi è normale che ci siano, bisogna affrontarli prima che siano in tutta Italia", dichiarò all’epoca un profetico Favia.

E, infatti, nel 2012 il M5S espugna non solo Comacchio con Marco Fabbri (oggi candidato alle Regionali col Pd), ma anche Parma con Federico Pizzarotti che, col 60% dei voti, batte al ballottaggio il candidato del Pd, Vincenzo Bernazzoli, all’epoca presidente della provincia. Entrambi i sindaci, poi, verranno espulsi dal M5S e, come è logico, la fuoriuscita più importante e dolorosa sarà quella di Pizzarotti, il primo grillino a conquistare un capoluogo di provincia. Il motivo? Aver tenuto nascosto ai vertici del M5S di essere indagato per abuso d’ufficio. A onor del vero, il primo grillino ad esser stato espulso è Valentino Tavolazzi, consigliere comunale di Ferrara, mandato via da Grillo in persona per aver tenuto due assemblee pubbliche sulla democrazia interna dentro il M5S. “Tavolazzi non ha purtroppo capito lo spirito del M5S, che è quello di svolgere esclusivamente il proprio mandato amministrativo e di rispondere del proprio operato e del programma ai cittadini. Non certamente quello di organizzare o sostenere fantomatici incontri nazionali in cui si discute dell’organizzazione del M5S, della presenza del mio nome nel simbolo, del candidato leader del M5S o se il massimo di due mandati vale se uno dei due è interrotto”, scrisse il comico genovese nel suo blog.

Pizzarotti, oggi leader di Italia in Comune, nel corso d una recente intervista rilasciata a Italia Oggi, ormai senza più peli sulla lingua ha dichiarato: “Come ho sempre detto, il Movimento Cinque Stelle è nato in Emilia-Romagna e in Emilia-Romagna si sgonfierà definitivamente. D' altra parte da quando è al governo è oscillato tra la destra populista e il centrosinistra dimostrando di non avere valori e ideali granitici”. E le dimissioni ‘preventive’ di Luigi Di Maio sembrano confermare tale previsione. L’ormai ex capo politico del M5S, com’è noto, non avrebbe neppure voluto che i grillini presentassero un loro candidato alle Regionali, ma gli iscritti alla piattaforma Rousseau hanno sconfessato la sua linea, che poi era anche quella di Grillo. I risultati odierni sono una conferma di quanto profetizza Gianluigi Paragone, intervistato da La Stampa: "Il MoVimento è destinato a scomparire nel Pd". Gli elettori grillini, infatti, hanno optato per il voto disgiunto, attribuendo al candidato presidente Simone Benini appena il 3,5% dei voti a fronte del 4,7% di preferenze date alla lista. Cifre che hanno determinato l'esclusione del M5S dal consiglio regionale dell'Emilia Romagna. Il confronto con le tornate elettorali precedenti è impietoso: alle Regionali di cinque anni fa i pentastellati ottennero il 13%, mentre alle Europee del maggio scorso si fermarono al 12%. Un tracollo ancora più evidente se si considerano òe percentuali che presero alle ultime due elezioni Politiche: il 24% del 2013 e addirittura il 27% del 2018, quando il M5S divenne il primo partito della Regione.

Il voto in Emilia segna, dunque, il de profundis del Movimento.

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