Fabio Torriero, direttore di Intelligonews.it, studia da tempo la parabola politica di Marine Le Pen. Curatore dell’edizione del suo libro «Controcorrente», ha descritto con puntualità gli ingredienti della cosiddetta «rivoluzione blu» del Front National, individuando il nuovo bipolarismo che si è sviluppato in Francia sull’onda della sua influenza. Un meccanismo di contrapposizione che esce dagli schemi politici più tradizionali e punta sull’ «alto contro il basso», ossia lobby, caste, global-governance, governo mondiale dell'economia, Ue, euro, banche, finanza, contro popolo.
Direttore Torriero, molti hanno letto nella vittoria di Marine e Marion Le Pen il concretizzarsi di un incubo. Per quale motivo?
«Perché sono rimasti ancorati alle categorie del Novecento. Si tratta di analisi ideologiche, piene di risentimento e pregiudizio da parte dei soliti professionisti e ascari del politicamente e culturalmente corretto. Marine Le Pen sostiene che la xenofobia è odio verso gli altri, il patriottismo amore verso se stessi. Il FN ha una vocazione a governare, non vuole essere solo un movimento di protesta. E le pulsioni più retrive sono state isolate. In questo a livello di percezione pubblica paga posizioni che appartenevano a suo padre, non a lei».
Può il centrodestra italiano rubare qualcosa al «modello Le Pen» per disarcionare Renzi?
«Difficile. Il Fronte nazionale si è presentato da solo, senza alleati. Mira a incarnare l’alternativa al vecchio regime partitocratico (Ump-Partito socialista etc), e a sostituire il vecchio arco repubblicano, col suo fronte repubblicano-patriottico. L’unico che potrebbe provare a percorrere quella strada è Salvini che però è alleato con Forza Italia, partito affiliato al Ppe. Al contrario a lui servirebbe un programma chiaro e senza compromessi: identità, o di qua o di là; immigrazione, o di qua o di là; sicurezza o di qua o di là; welfare o di qua o di là; euro, o di qua o di là».
C’è poi l’elemento territoriale a differenziarli.
«Quello della La Le Pen è un partito nazionale e centralista. La Lega è un partito ancora regionale e federalista. Salvini si sbrighi, quindi, ad estendere la sua influenza organizzativa, senza imbarcare tromboni e trombati della vecchia politica centro-meridionale, e a ripensare la sua concezione costituzionale».
Cosa li unisce e cosa li divide?
«La Le Pen non ha vinto in Francia cavalcando la lotta all’Islam, come religione, dopo le stragi di Parigi: il suo partito persegue un nazionalismo laico e plurale (lo Stato napoleonico); e in tema di integrazione, persegue l’assimilazione culturale: non islamici, cattolici o atei, ma cittadini francesi di fede cattolica, islamica o non credenti. E ciò è molto diverso rispetto all’impostazione leghista. Marine auspica uno Stato forte, autoritario, magari con la pena di morte, ma nel solco appunto, del laicismo. Li unisce la concezione sovranista anti-Ue; li unisce una politica più restrittiva sull’immigrazione clandestina, ma li divide la composizione dell’identità culturale nazionale. Salvini, giustamente, è più sensibile al primato storico e sociale del cristianesimo sulle altre religioni (in tal senso, è più vicino a Marion Le Pen, la nipote vandeana di Marine). E poi c’è da dire che l’assimilazione francese ha fallito: i terroristi dell’Isis sono i figli abortiti di questo modello. Sono gli immigrati di terza e quarta generazione non integrati nella Repubblica giacobina. Figli del nichilismo laicista, delle banlieues e della povertà economica».
È vero che la Le Pen vince perché riesce a interpretare meglio di altri il difficile momento economico della classe media (e non solo) francese?
«La Le Pen (a differenza del padre Jean Marie, nazionalista, nostalgico dell’Algeria francese, ma ultraliberista in economia) pensa a ridefinire il
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