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Etiopia, guerra ai ribelli. Colpita anche l'Eritrea. Assalto a bus: 34 morti

I guerriglieri del Tigray attaccano Asmara. Migliaia di civili in fuga, sei italiani bloccati

Etiopia, guerra ai ribelli. Colpita anche l'Eritrea. Assalto a bus: 34 morti

Esattamente un mese fa il presidente eritreo Isaias Afwerki si trovava in visita ufficiale in Etiopia. Nel corso dell'incontro con il primo ministro Abiy Ahmed, tenuto all'aeroporto internazionale Bole di Addis Abeba, si era discusso di cooperazione bilaterale e di sviluppi regionali, concordando di intensificare i rapporti per la pace della regione. Eppure, appena 18 giorni dopo, le parole cariche di buoni propositi sono state spazzate via da assalti armati che hanno trasformato l'area nella nuova polveriera del continente nero.

Il conflitto è iniziato il 4 novembre, con un'operazione militare lanciata da Addis Abeba al culmine di forti tensioni tra il governo etiope e il Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf), il partito secessionista che domina la regione settentrionale dell'Etiopia, popolata dalla minoranza tigrina. I belligeranti si accusano a vicenda di aver innescato la violenza, quel che è certo è che la dura contrapposizione politica dei mesi scorsi ha lasciato il posto alle armi.

La tensione tra il governo centrale e quello di Macallé (capoluogo del Tigray) è alle stelle da mesi. Dopo le elezioni non autorizzate che si sono svolte a settembre, Addis Abeba ha inserito nella lista nera le autorità della regione e del Tpfl apostrofandoli come criminali, e accusando il Sudan di armarli. Il Tigray è sempre stato un punto strategico militare per l'Etiopia in quanto confina con l'Eritrea. I due Paesi sono stati in conflitto permanente per decenni fino al trattato di pace nel 2018, la cui firma ha consentito al premier Adiy Ahmed di ottenere il premio Nobel. A Macallé si trova una tra le basi militari più importanti dell'Etiopia, un'altra è stanziata a Dansha. La regione del Tigray lamenta di trovarsi tra l'incudine e il martello: il Tplf accusa l'Eritrea, che confina con la loro regione, di appoggiare le operazioni militari condotte dall'esercito etiope, denunciando la presenza di soldati eritrei coinvolti direttamente nel conflitto. Anche il Tigray è comunque ben organizzato: secondo un rapporto di International Crisis Group, il fronte di Liberazione disporrebbe di circa 250mila uomini tra forze paramilitari e milizie locali.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è il clamoroso attacco missilistico dei tigrini contro Asmara, la capitale dell'Eritrea, di sabato sera, un gesto che rappresenta un preoccupante salto della crisi e un'escalation militare che rischia di portare nel caos l'intero Corno d'Africa.

Migliaia di civili sono in fuga dai territori interessati dalle violenze. Secondo fonti dell'Onu, almeno 20mila tigrini avrebbero cercato rifugio oltrepassando il confine con il Sudan. Un servizio trasmesso proprio ieri da France 24 documenta l'esodo di massa di cittadini etiopi in fuga dalla guerra. Quello dell'emittente francese è un filmato prezioso, perché al momento pochissime notizie e immagini filtrano dalla regione. I collegamenti telefonici e internet sono interrotti. Sabato Amnesty International ha diramato un rapporto secondo cui le operazioni militari condotte dai soldati di Addis Abeba avrebbero già causato centinaia di morti tra i civili, ma mancano le conferme ufficiali.

Per rappresaglia i guerriglieri del Tplf hanno aperto il fuoco contro un pullman di civili, uccidendone 34. «L'obiettivo era l'aeroporto di Asmara, perché viene usato per attaccarci - ha raccontato il leader del Tplf, Debretsion Gebremichael, parlando al telefono a Radio Raimoq - se l'Eritrea non rimarrà al suo posto saremo costretti a colpire anche il porto di Massaua. Stiamo combattendo per una causa legittima. Etiopia ed Eritrea si sono alleate per metterci in ginocchio».

La vicenda sta purtroppo interessando anche nostri connazionali. A pochi chilometri dal bombardamento sorge infatti l'azienda Itaca Textile con circa 2mila lavoratori locali. Dal 4 novembre sono sei gli italiani bloccati nell'area dove sorge la fabbrica: 5 dipendenti e un tecnico esterno.

La Farnesina, che sta monitorando la situazione, conta di evacuarli appena le condizioni di sicurezza lo consentiranno.

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