dal nostro inviato ad Arezzo
C'è una compravendita da fare, una banca da salvare, un amico da aiutare? «Bisogna sentire il Boschi», che vanta amicizie ovunque e ha entrature nel mondo politico che conta. Si diceva questo ad Arezzo e in tutto il Valdarno. E oggi quelle parole risuonano più che mai vere nelle indagini sulla bancarotta di Banca Etruria. Soprattutto nelle stanze della procura di Arezzo dove gli inquirenti stanno analizzando, tra le altre cose, una vicenda clamorosa.Protagonista l'84enne Flavio Carboni, da decenni immerso nelle acque più torbide dell'affarismo italiano, dalla Loggia P2 ai 2.500 miliardi di lire mai trovati del Banco Ambrosiano, per finire con la nuova presunta associazione segreta P3 (nella quale è coinvolto anche Denis Verdini), e i suoi rapporti con Pier Luigi Boschi, padre del ministro Maria Elena.
La Finanza di Arezzo ha scoperto, attraverso perquisizioni e intercettazioni, che gli incontri tra il neo vice presidente della Popolare, Boschi (nominato 10 settimane dopo lo sbarco a Palazzo Chigi di sua figlia) e Carboni nel suo ufficio a Roma, in via Ludovisi, insieme a Lorenzo Rosi, il geometra diventato presidente di Banca Etruria a fine aprile di quell'anno non erano, come ha dichiarato lo stesso Carboni incentrati «su un nome per il ruolo di nuovo direttore generale dell'istituto», al posto di Luca Bronchi. O non solo. Il vero motivo era trovare soldi per salvare Banca Etruria, già con un piede nella fossa.
Le indiscrezioni che emergono oggi dalla procura di Arezzo parlano di 300 milioni di euro (in nero) chiesti da Boschi e Rosi nell'estate del 2014 per ricapitalizzare la banca e che avrebbero fatto del faccendiere sardo il socio di maggioranza.Il fiato sul collo degli investigatori fece saltare l'operazione così come la nomina di Fabio Arpe, indicato da Carboni come nuovo direttore generale, cambiato in corsa con Daniele Cabiati, ex Banca Popolare di Milano. «Il fatto che andassero da Carboni per trovare il sostituto di Bronchi non è credibile dicono dalla procura che indaga sul faccendiere perché figure simili a quella potevano benissimo essere trovate ad Arezzo, senza scomodare Carboni. Da lui ci sono andati perché sapevano che lì avrebbero trovato i soldi che servivano, sebbene tutt'oggi si dichiari nullatenente».
E c'è dell'altro. La procura non crede nemmeno che dietro al presunto fondo arabo, il Qvs, nato nel 2014, pronto a scalare Banca Etruria ci fosse la famiglia reale del Qatar, Al-Thani. «Anche lì c'era dietro Carboni», dice chi si sta occupando delle indagini. L'attenzione della procura è rivolta anche agli strani amici sardi di Boschi come il sedicente massone Valeriano Mureddu, misterioso imprenditore cresciuto a Rignano sull'Arno e poi stabilitosi ad Arezzo, che ha fatto grossissimi favori ai Renzi e ai Boschi. È stato lui, intermediario di tutta l'operazione Etruria, a portare Boschi e Rosi nell'ufficio «dell'amico e mentore» Carboni. Affaristi, dalla dichiarata appartenenza alla massoneria che cercarono di inserirsi nella partita di Banca Etruria, peraltro storicamente in mano alle logge.Infine i calabresi.
Gli investigatori hanno il sospetto che dietro l'affaire Etruria ci siano anche loro, un'associazione criminale dedita al riciclaggio di proventi derivanti dall'evasione fiscale, tramite l'acquisizione di grandi società in fallimento.
Come il caso della compravendita della fattoria di Dorna a Civitella Val di Chiana gestita da Boschi con il suo socio Francesco Saporito, «referente nella provincia di organizzazioni malavitose riconducibili alla ndrangheta», scrive la Finanza.«Boschi era il sensale concludono dalla procura - Dietro tutte le compravendite spunta sempre il suo nome. Se i calabresi volevano fare un affare ad Arezzo dovevano rivolgersi a lui».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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