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"Euroinomani": chi sono i pasdaran dell'Euro

"Euroinomani" è l'ultimo lavoro editoriale di Alessandro Montanari, in cui sono elencati con dovizia di particolari gli eccessi dei tifosi più accaniti della moneta unica

"Euroinomani": chi sono i pasdaran dell'Euro

"Ci vuole più Europa", "settant'anni di pace", "ce lo chiede l'Europa". Mantra diventati la quotidianità per una grande parte del mondo politico ed informativo italiano che testimoniano l'acritica accettazione del pensiero unico europeista da parte dei loro componenti. Frasi ad effetto che diventano parole d'ordine a cui, a uso e consumo dei più giovani, in casi di estrema necessità per aggiungere ulteriore potere di persuasione si uniscono argomenti più trivali: Ryanair, il roaming dati, l'Erasmus. Il tutto per giustificare l'insindacabile bontà del progetto europeo rebus sic stantibus, mirare a ottenere in maniera immaginifica prima ancora che pragmatica la fedeltà di chi si trova a ascoltare e interiorizzare questi motti e a bollare con ignominia, con le etichette infamanti del "populismo" chiunque, anche senza pretendere il superamento totale dell'Unione Europea, del mercato e della moneta unica, si interroghi se effettivamente lo stato attuale delle cose non sia controproducente.

Esiste addirittura il cosiddetto Comitato Ventotene, formato da giovani attivisti vicini al mondo di Più Europa, che pubblica su Facebook e sul suo sito post e articoli intrisi di rancore per l'incapacità della massa della popolazione di capire il manifesto destino progressivo dell'Unione Europea così come è. Una vera e propria allucinazione collettiva: l'Europa trasformata in sostanza allucinogena, in religione emozionale collettiva. "Euroina", l'ha definita il giornalista e analista Alessandro Montanari. E "Euroinomani. Come l' euro ha ucciso l'Europa. Il risveglio dei popoli contro l'élite" (Uno edizioni) è il titolo del più recente saggio dello stesso Montanari, una raccolta dei luoghi comuni più abusati, dei metodi di spin mediatico più comuni e della retorica più semplificativa addotta per giustificare una difesa a oltranza dell'Unione Europea e delle sue politiche. Retorica che, è bene ricordarlo, ha nel fronte degli eurocritici duri e puri un degno contraltare in quanto a chiusura mentale e ottusità, ma che è interessante studiare per l'ampia e acritica visibilità mediatica di cui è depositaria.

L'euroinomane, secondo Montanari, "vede come in un' allucinazione mondi misteriosi" ed è figura eminentemente italiana. Quando Indro Montanelli affermò che, in caso di costruzione dell'Europa unita, "i tedeschi vi entreranno da tedeschi, i francesi da francesi e gli italiani da europei" si riferiva proprio alle figure di cui ora Montanari delinea il physique du role. Uomini e donne che traggono dall'appoggio acritico all'Unione vantaggi politici, professionali e di visibilità. Un europeismo talmente intransigente da diventare autolesionista e portare a una rilettura a posteriori della storia europea: "Se denunciavi la distruzione del glorioso modello produttivo italiano, fatto di piccole imprese riunite in distretti, con argomentazioni troppo logiche per essere liquidate con lo sbrigativo marchio d' infamia del populismo, i cosiddetti europeisti attaccavano con la canzoncina giuliva del ci-vuole-più-Europa".

Tendenza deleteria del declino del ragionamento politico sull'interesse nazionale è l'accettazione acritico di un europeismo ritenuto irreversibile. In Germania, Paese centrale dell'architettura comunitaria e delle sue debolezze intrinseche, il dibattito sui "piani B" e sulle soluzioni d'emergenza per tutelare l'interesse nazionale in caso di collasso dell'Eurozona è avviato da tempo. Lo iniziò, nel 2011, nientemeno che lo Stato maggiore e lo continuano ora economisti e studiosi che chiedono al governo di Berlino un cambio di passo.

Sintomo della dipendenza dal loro oggetto del desiderio degli "euroinomani" da Montanari è, invece, l'inversione tra causa ed effetto che punta a giustificare con la carenza di coesione, con l'eccessiva libertà concessa agli Stati e con la scarsa capacità degli Stati (o peggio, dei popoli) ad adattarsi ai cambiamenti la causa delle debolezze strutturali dell'Ue. L'euro, in questo caso, funge da "metadone": la sua debolezza è sintomo della problematica condizione dell'architettura comunitaria, ma per i pasdaran dell'Unione esso è l'unica ancora di salvezza. La cifra distintiva degli "euroinomani" è l'esaltazione del vincolo esterno, ovvero della piena consapevolezza che i limiti strutturali posti dall'Ue servano inderogabilmente a curare le debolezze ataviche degli italiani, il loro scarso senso di responsabilità, a punire la loro incapacità di adeguarsi all'austerità, alla competizione ineguale, ai cambiamenti che, appunto, ci "chiede l'Europa". Non un'Europa mediterranea, ma un'Europa lontana, carolingia, centrata tra Bruxelles e Berlino. Il vincolo esterno è stato infatti fortemente criticato da quegli analisti, come i responsabili di Limes Lucio Caracciolo e Alessandro Aresu, capaci di guardare oltre le grigie barriere dei parametri europei e capire che il mondo odierno è regno di complessità e competizione. Non il paradiso confortevole sognato dagli "euroinomani".

La cui utopia assomiglia sempre di più a un incubo.

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