
Ancora una volta è il centrosinistra pugliese a fermare la ripartenza dell'ex Ilva di Taranto. Lunedì sera il sindaco Piero Bitetti (in foto) ha rassegnato le dimissioni dopo essere rimasto per due ore bloccato dentro Palazzo di Città da un gruppo di manifestanti contrari all'Accordo di Programma sul futuro dello stabilimento. Un gesto che ha acuito lo scontro interno alla coalizione di governo locale: la maggioranza comunale, di centrosinistra, ha infatti chiesto ufficialmente di far saltare il Consiglio comunale previsto per oggi e ha espresso il proprio "no" alla firma dell'intesa con il governo nel tavolo convocato per domani.
Nel comunicato firmato dai consiglieri che sostenevano Bitetti si condanna con forza l'episodio di lunedì, ma la presa di posizione politica è molto chiara. "L'Accordo di programma proposto dal governo ci appare carente di certezze, improntato all'improvvisazione e privo delle necessarie garanzie per la salute e il lavoro nella nostra città".
Dietro il passo indietro del sindaco c'è anche la frattura interna al campo progressista. La richiesta di non firmare l'accordo è rivolta direttamente al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che si è detto disponibile a sottoscriverlo se saranno garantite "salute, ambiente e lavoro". Un posizionamento che non basta più a tenere insieme la coalizione locale, in rotta di collisione anche con il governo regionale.
Le resistenze locali sono più forti dell'interesse alla ripartenza. La Regione Puglia, da vent'anni governata dal centrosinistra, ha contribuito al rallentamento della transizione industriale con azioni giudiziarie dirette. Ad esempio, si è costituita nel ricorso che ha portato alla sentenza della Corte di Giustizia Ue sulla sospensione delle attività in caso di rischio sanitario. Lo stesso Comune di Taranto già in passato ha cercato di fermare l'impianto o con referendum farsa come nel 2013 o con ordinanze d'urgenza, come quella del 2020 firmata dall'allora sindaco Rinaldo Melucci, anch'egli del centrosinistra. Anche se il Consiglio di Stato ha poi annullato quelle ordinanze, resta il messaggio politico: a Taranto il centrosinistra ha sostenuto o tollerato una linea che guarda più alla chiusura che alla riconversione
Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, tira dritto. Ieri, ha incontrato in videocollegamento tutte le rappresentanze datoriali dell'indotto. Il confronto, spiega il Mimit, si è svolto in vista della definizione dell'Accordo di Programma. Durante la riunione, Urso ha illustrato i due scenari alternativi per la piena decarbonizzazione dello stabilimento. Lo scenario A prevede tre forni elettrici, quattro impianti Dri (acciaio preridotto), cattura CO2 e una nave rigassificatrice offshore da 5 miliardi di metri cubi/anno. Lo scenario B esclude il Dri da Taranto (verrebbe prodotto a Gioia Tauro) e rinuncia alla nave Fsru, ma comporterebbe fino a 700 esuberi in più.
Il Comune di Taranto propone una terza opzione intermedia: tre forni elettrici, un Dri, un solo impianto di cattura CO2 e l'uso della rete gas esistente. Venerdì il ministro vedrà i sindacati a Palazzo Chigi. La volontà di andare avanti, quindi, c'è tutta. Nonostante il centrosinistra.