«You know it takes two to tango». Bisogna essere in due per ballare il tango. E due parti disposte a raggiungere un accordo. La prima telefonata tra Joe Biden e Xi Jinping da quando la Russia ha invaso l'Ucraina si apre invece con i timori espressi ieri dal segretario di Stato americano Antony Blinken: «Siamo preoccupati dalla possibilità che la Cina possa considerare di aiutare militarmente la Russia».
Washinton piazza il colloquio tra i due leader nella galleria degli sforzi «per mantenere aperte le linee tra Stati Uniti e Repubblica popolare». Ma oggi si andrà ben oltre la cornice. Biden e Xi discuteranno di come gestire «la concorrenza tra i due Paesi, del conflitto ucraino», spiega la portavoce della Casa bianca. In primis, della spinosa Taiwan, su cui la Cina «si oppone alle azioni Usa», a cui ha fatto cenno già a Roma il negoziatore cinese Yang Jiechi. Un rebus. Da disinnescare.
Nell'incontro preparatorio con il consigliere per la sicurezza Usa Jake Sullivan, Jiechi ha avvertito: ogni tentativo di sostenere l'isola autogovernata da decenni «non avrà mai successo»; «riguarda la sovranità della Cina», è da riannettere, anche con la forza. Biden, invece, è pronto a schierare l'esercito «in caso di attacco».
Il presidente americano deve trovare una difficile quadra per disarticolare l'escalation russa in Ucraina. Ha proposto la «call» a Xi, che ha scelto Taiwan e i suoi 23 milioni di abitanti come sottofondo. E non sembra voler incentrare la discussione sul fronte Est europeo nonostante Blinken chieda a Pechino di «usare la sua influenza con Putin». La Cina è ferma alle dichiarazioni al miele per il popolo ucraino. Distensive, e al tempo stesso ambigue: non attaccheremo «mai l'Ucraina e la aiuteremo sul piano economico», ha detto l'ambasciatore Fan Xianrong incontrando il governatore di Leopoli. Il bivio è però cruciale. Che farà Xi? Il bisogno che ha dei mercati occidentali, scossi dalle sanzioni imposte a Mosca, da cui la Cina si è chiamata fuori, spingerà l'autocrazia a regalare spiragli di trattativa a Washington? O forse spunteranno «aiutini» ai russi al fronte?
Il parlarsi oggi con il «vecchio amico» Biden è comunque l'unica foto non ancora sviluppata di una possibile svolta diplomatica per uscire dal sanguinoso stallo ucraino. Dall'Italia, culla dei colloqui, il premier Mario Draghi non sembra ottimista: «Il canale di diplomazia tra Usa e Cina si sta ancora costruendo, non ci sono sviluppi prevedibili a breve. Da Putin non c'è volontà di pace, ma di guerra. I progressi sono stati smentiti. Però la pace va cercata a ogni costo e bisogna essere credibili, Usa e Cina lo sono, se un sentiero lascia ben sperare, è quello». Poi, a sorpresa, annuncia che sarà a Washington entro «due-tre mesi». Biden lo vedrà già a Bruxelles giovedì.
Pechino controbilancia il parziale impegno a uscire dall'inerzia con bordate sulla Nato: «Non dimenticheremo mai chi ha bombardato la nostra ambasciata in Jugoslavia», dice un portavoce della missione cinese nell'Ue, evocando Belgrado '99 e gli aerei dell'Alleanza. «La Nato continua ad allargare il suo campo geografico, avrebbe bisogno una riflessione». La tesi è simil-russa. Dall'Ucraina, la Via della Seta offre però spiragli a Biden per orientare la variabile cinese. Kiev è il suo primo partner commerciale.
Restano le ombre: Cina sospettata d'aver saputo dell'invasione russa prima che i tank sfondassero il confine; se non dei piani, della volontà di Putin di fare guerra a uno Stato sovrano. E ancora oggi la propaganda del Cremlino rimbomba sulle tv cinesi. Così le due superpotenze antagoniste tornano alla cornetta dopo la «franca» videoconferenza di novembre. Tattica e neutralità andrebbero stoppate.
Cosa dirà Xi a Biden? 1) Che «continuerà la cooperazione economica e commerciale con Russia e Ucraina basata su rispetto, uguaglianza e vantaggio reciproco». 2) Che non rinuncia alla massa egemonica imperiale già scodellata.
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