
«Un nouveau depart» secondo Le Figaro. Una «riconciliazione» per Le Monde, «il segno di un riavvicinamento diplomatico» per Der Spiegel.
Il giorno dopo, l'incontro tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron a Palazzo Chigi assume contorni più nitidi. Da Palazzo Chigi filtra soltanto che il vertice «è stato un successo politico» e il faccia a faccia «non è andato bene, è andato benissimo». Ed Emmanuel Macron pèare d'accordo, almeno a giudicare dal post su X di ieri sera: «Grazie presidente del Consiglio Giorgia Meloni, abbiamo avuto un ottimo incontro che ci ha permesso di approfondire il nostro coordinamento per far avanzare insieme l'agenda franco-italiana ed europea. L'Europa si costruisce attraverso il dialogo e l'azione».
Un faccia a faccia, dicevamo. Perché dopo i saluti di rito i due leader hanno scelto di parlarsi - in inglese - completamente da soli, suscitando un po' di stupore anche nei rispettivi staff, con i quali si sono poi ricongiunti nella successiva cena con ambasciatori e staff di Palazzo Chigi. Un tête-à-tête da buoni vicini
Ma cosa si sono detti Meloni e Macron in quelle quasi tre ore? Giorgia Meloni invita a mettere tranquillamente le carte in tavola perché «quando i rapporti sono solidi bisogna parlare anche di ciò su cui non si è d'accordo», partendo dal presupposto che comunque Italia e Francia sono già state capaci di fare asse comune come ad esempio è avvenuto con il no all'accordo di libero scambio dell'Ue con il Mercosur.
Nel merito il comunicato e una nota pubblicata sui social offrono una serie di indizi. Innanzitutto il riferimento alla volontà di «rafforzare l'impegno comune per un'Europa più sovrana, più forte e più prospera». Una scelta lessicale, con il riferimento al sovranismo, che certo non dispiace alla presidente del Consiglio e che indica la volontà di rimettere in moto rapporti e relazioni. Non a caso il presidente francese e la premier italiana promettono «di coordinare le proprie posizioni in tema di relazioni transatlantiche, nonché sulla sicurezza economica e commerciale dell'Unione Europea». Il calendario d'altra parte offe subito occasioni importanti per mettere alla prova la nuova intesa italo-francese: il G7 in Canada il 17 giugno, il vertice Nato all'Aja il 24 e subito dopo il Consiglio europeo.
Nel comunicato si evidenziano anche forti convergenze sulla piena applicazione del principio di neutralità tecnologica, in sostanza mettendo un freno al Green deal e dando così ossigeno all'automotive. Il bilaterale tocca naturalmente il tema del conflitto russo-ucraino, si parla di «un ambizioso cambiamento di scala nella difesa europea», sia in termini di investimenti che di sostegno alla base di difesa industriale e tecnologica europea. Entrambi i leader ribadiscono di voler continuare a promuovere un'alleanza forte a sostegno di Kiev. Se Giorgia Meloni ribadisce l'opposizione dell'Italia all'invio di truppe senza l'ombrello giuridico delle Nazioni Unite, Macron spiega che l'applicazione dell'articolo 5 del Trattato Nato - in sostanza la protezione automatica in caso di attacco - senza adesione dell'Ucraina appare al momento troppo complessa.
Il numero uno dell'Eliseo chiede un investimento più convinto nella difesa comune europea, a cominciare dal programma Rearm Europe, a cui l'Italia ha aderito, cercando però di tutelare gli interessi dell'impresa italiana, spesso strettamente connessa con quella statunitense.
Meloni promette che l'impegno aumenterà, ma pretende che l'Italia non sia più esclusa dai tavoli. I due leader, inoltre, concordano sulla necessità di rivedere le regole europee in modo da escludere le spese militari dal calcolo del 3 per cento nel rapporto deficit-Pil.