Ma entrare a far parte del «Patrimonio dell'Umanità» rappresenta un onore o un onere? Sicuramente entrambi. Peccato che in Italia ci si fermi spesso al primo, trascurando drammaticamente il secondo. Dei «nostri» 53 siti Unesco, infatti, molti versano in uno stato che mal si coniuga con la prosopopea di quelle tre parole: «Beni Patrimonio dell'Umanità». Sul carrozzone Unesco - e sui business miliardari ad esso collegati - ci sarebbe molto da dire, anzi da ridire.
Il sospetto che dietro la retorica della tutela amb-cul (ambientale e culturale) si celino sprechi e consorterie, è forte; ma, considerato che - a turno - ne beneficiano un po' tutti, si preferisce soprassedere.
Per coltivare in materia una sana diffidenza, basterebbe ascoltare le frasi di giubilo del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini («un importante risultato che conferma l'impegno dell'Italia») che ieri hanno accompagnato due new entry italiane nella lista dei «tesori mondiali» targati Unesco: le faggete delle tre riserve naturali dello Stato di Sasso Fratino, di Foresta Umbra e di Foresta di Falascone (gestite dall'Arma dei Carabinieri) e delle mura veneziane di difesa che cingono i centri storici di Bergamo, Palmanova e Peschiera del Garda. A proposito di queste ultime la motivazione Unesco parla di «significativa rappresentazione tipologica delle fortificazioni costruite dalla Serenissima tra il XVI e il XVII secolo, un periodo molto importante nella lunga storia della Repubblica di Venezia». E poi: «Il sistema è rappresentativo delle modalità di intervento, dei progetti, dei nuovi criteri riconducibili all'architettura militare moderna poi diffusa in tutta Europa». Un «doppio successo» che il ministro degli Esteri Angelino Alfano, ha commentato evidenziando un approccio al tema totalmente sbagliato: «L'Italia si conferma il Paese con il maggior numero di siti Unesco al mondo, ben 53: un'autentica superpotenza di cultura e bellezza».
Ecco, Alfano dovrebbe capire che in questo campo a fare la differenza non è la «quantità» dei siti, bensì la qualità con cui un Paese riesce a garantire la fruibilità e la conservazione dei siti stessi.
«Cultura» e «bellezza» non sono non sono valori algebrici ma investimenti intellettuali: quindi meglio avere meno siti considerati «Patrimonio dell'Umanità» (due parole che meritano la maiuscola), ma essere in grado di valorizzarli al meglio, piuttosto che averne tanti lasciando però che poi vadano in malora. Esattamente ciò che, purtroppo, troppo spesso accade nel nostro Paese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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