La grande trattativa sulla manovra si è conclusa con lo stesso teatrino con cui si è iniziata: abbassare l'asticella per poter gridare vittoria a mini risultato conseguito. L'estremo si è raggiunto sulle tasse: il governo ne ha proposta una al giorno e quando scoppiava la protesta della categoria interessata, i partiti si intestavano il merito di averla bloccata.
Una cortina di fumo che ha permesso ieri al premier Giuseppe Conte di esclamare con piglio da avvocato: «Diffido a credere a qualcuno che definirà questa manovra, manovra delle tasse. Vorrà dire che siamo davanti a una menzogna inoppugnabile». E avrebbe ragione a parte la Robin tax. A parte la sugar tax. A parte la plastic tax. A parte l'aumento della tassa di soggiorno. A parte la tassa sui giochi. Un quadro che in realtà incorona un solo vincitore: il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri: alla fine ha fatto passare il concetto, amato da gran parte della classe politica, che sia normale mettere nuove tasse per poter spendere.
Perdono tutti gli altri. Tutti i partiti che in queste ore cantano vittoria a turno. Perdono soprattutto perché alla fine hanno completamente abbandonato i grandi obiettivi dichiarati ad agosto quando hanno formato il governo, per concentrarsi sul piccolo cabotaggio. Come ha amaramente constatato, tra gli altri, il presidente di Assolombarda Carlo Bonomi: «Se il green new deal è solo sugar tax e plastic tax, allora è solo un tax deal». E in effetti c'è poco altro. Zingaretti ha parlato ieri di «investimenti verdi pluriennali per 59 miliardi». Ma per il prossimo anno sembrano esserci solo poco più di 400 milioni. L'esempio classico è la sugar tax: è previsto un gettito più o meno uguale per i prossimi tre anni. Quindi lo stesso governo ammette che non servirà a limitare il consumo di bibite gasate dolci. Per non parlare della beffa dello sconto fiscale sugli assorbenti spacciato come conquista femminista ma applicato solo su quelli biodegradabili, che costano molto di più di quelli usati dalla stragrande maggioranza delle donne. Il Pd ottiene sì uno stanziamento per il cuneo fiscale: ma basti dire che nella migliore delle ipotesi porterà a chi lo riceve un beneficio pari alla metà del bonus degli 80 euro.
Per non parlare dei 5 Stelle, che sul «green new deal» avevano basato la giustificazione stessa della scomoda alleanza con i nemici giurati di quello che bollavano fino a pochi giorni prima come «partito di Bibbiano». A Luigi Di Maio non è rimasto che esultare per il risultato positivo, ma quantitativamente modesto rispetto all'entità della manovra, dell'aumento di stipendio per i vigili del fuoco. Non va meglio a Leu, che aveva messo in pista una serie di iniziative tutte volte alla spesa, soprattutto pro pensionati, che hanno trovato ben poco spazio.
Anche Renzi, in fondo, sulle microtasse ha ottenuto solo un rinvio. Ma soprattutto manca qualunque premessa del suo progetto «Italia shock», ennesima edizione dei vari «Sblocca Italia» e «Sblocca cantieri» con cui gli ultimi governi si sono riempiti la bocca. Perfino industria 4.0, tagliato dai gialloverdi, è solo in parte ripristinato dai giallorossi.
Del
resto per valutare l'efficacia di questa manovra basta leggere le previsioni del governo nel Nadef: nel 2019 Pil a +01,% e nel 2020 a +0,6. Anche quest'anno, la (timida) ripartenza del Paese è rimandata all'anno prossimo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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