La faida tra i pm di Milano Bruti declassa il suo vice

Il procuratore capo riapre lo scontro e toglie a Robledo la delega sui casi di corruzione: dovrà occuparsi di detenuti. L'aggiunto si dice «sereno», ma prepara il contrattacco

Milano Licenziato in tronco, e senza nemmeno l'articolo 18. Alfredo Robledo, procuratore aggiunto della Repubblica a Milano, paga con la poltrona la guerra innescata sei mesi fa con il suo capo, Edmondo Bruti Liberati. Con un provvedimento senza precedenti, Bruti ieri defenestra Robledo: gli toglie la carica di capo del pool anticorruzione e lo spedisce all'ufficio esecuzione, il più «sfigato» dei gruppi specializzati. Una pubblica degradazione resa ancora tanto più eclatante dalla decisione di Bruti di accentrare nelle proprie mani tutte le inchieste su tangenti e affini, assumendo in prima persona l'interim del dipartimento «pubblica amministrazione». Sarà il procuratore capo a gestire direttamente gli affari più delicati della procura milanese, non solo sul fronte Expo - il più scottante ed agitato - ma nell'intera partita dei controlli sulla vita politica. Robledo si occuperà di detenuti, di cumuli pena, di burocrazia carceraria.

Era una decisione nell'aria, dopo che il Consiglio superiore della magistratura - diviso al suo interno quanto e più della Procura milanese - aveva deciso di non decidere niente, lasciando al loro posto tutti i protagonisti della faida. Di fronte al quadro sconcertante di rivalità correntizie e personali venuto alla luce nei mesi scorsi, con Bruti accusato da Robledo di essersi circondato di un cerchio magico di fedelissimi di Magistratura democratica, e Robledo a sua volta accusato di avere trasformato la procura in un ring da pugilato, il Csm se l'era cavata rifilando la patata al ministro della giustizia e alla Cassazione, perché valutassero se mettere sotto procedimento disciplinare Bruti, Robledo e Ilda Boccassini: un modo in sostanza per prendere tempo, in attesa che il pensionamento di Bruti (fissato per il dicembre 2015) disinneschi in qualche modo le tensioni, o almeno le spersonalizzi.

Ma che la Procura milanese restasse per oltre un anno in mezzo al guado, tra magistrati che si odiano e non si parlano, e con le inchieste più delicate usate per i regolamenti di conti interni, oggettivamente non era possibile. Così Bruti rompe gli indugi, e spazza via l'avversario. La legge glielo consente, ma si tratta di una mossa pesante. Per rendersene conto basta immaginare quale sarebbe oggi la reazione se i ruoli politici e di corrente fossero stati diversi, e se un procuratore della Repubblica moderato avesse esautorato dalle indagini un pm di sinistra.

Bruti rende noto il suo provvedimento con una asciutta circolare diramata ieri a tutti i pm, in cui annuncia che «il coordinamento del secondo dipartimento è assunto direttamente dal procuratore della Repubblica, revocando la delega al proc.agg.Alfredo Robledo». Nessuna spiegazione, solo il richiamo alla norma che attribuisce ai capi degli uffici i poteri organizzativi. Il vero atto d'accusa nei confronti di Robledo è contenuto in un altro documento, di una decina di pagine, in cui Bruti fa il pelo e il contropelo alla gestione da parte del suo «vice» di una serie di inchieste: tra cui l'indagine sulla presunta truffa dei «derivati» ai danni del Comune di Milano, terminata in appello con una assoluzione generale. Robledo può comunque vantarsi di avere fatto incassare all'erario un risarcimento gigantesco, ma anche sulla gestione di questo malloppo Bruti muove a Robledo una serie di accuse.

«Sono io il procuratore e visti i contrasti che ci sono stati ho deciso di prendere questo provvedimento per risolvere questa situazione»: così, con una rivendicazione esplicita e quasi brutale dei propri poteri, ieri Bruti Liberati spiega i motivi del suo gesto. Robledo ribatte facendo sapere di essere «sereno» e di non voler impugnare la decisione di Bruti. Il problema, per Bruti, è ora vedere come reagirà la Procura: tolto di scena Robledo, il procuratore ha intorno a sé nei posti chiave tutti colleghi cresciuti nell'alveo di Magistratura democratica, ed è tra questi che Robledo ha indicato i componenti del «cerchio magico» del capo, quelli scelti - anche in deroga ai criteri di competenza - per gestire tutti i fascicoli più importanti. Ma tra la base e tra molti veterani della procura milanese, le accuse di Robledo hanno trovato anche consensi. Ora con la frase alla Luigi XIV, «il procuratore sono io», Bruti colpisce l'uomo-simbolo della fronda interna.

Ma si può stare sicuri che la telenovela non è finita.

Robledo non ha trovato, soprattutto a Roma, gli appoggi che si aspettava. Ma agli amici ha confidato «rifarei tutto». E chi lo conosce dà per certo che non si farà mettere da parte senza combattere.

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