
Un nodo burocratico e il cartellino rosso della magistratura che blocca il cantiere e manda e tutti a casa, imprese e lavoratori. L'epilogo di una trama già letta nell'intricato copione del rapporto tra aziende e toghe, si ripete nel Friuli-Venezia Giulia amministrato dalla renziana Debora Serracchiani.
Non sono bastati dodici anni di dibattiti, sopralluoghi, pareri e iter autorizzativi: quell'elettrodotto tra Redipuglia-Udine ovest non s'ha da fare. Lo dice il Consiglio di Stato che, nonostante i respingimenti del Tar del Lazio, ha accolto il ricorso presentato da sette comuni e privati cittadini interessati dai 39 chilometri dell'infrastruttura energetica. Tutto da rifare, dunque. Canta vittoria la pattuglia dei sindaci Pd, capofila il primo cittadino di Palmanova Francesco Martines, che in barba all'amministrazione Serracchiani, intenzionata a portare a termine la partita, chiede un passo indietro. Il pronunciamento è una doccia gelata sul gruppo Terna, che per «un vizio di forma» si è visto costretto alla «sospensione di tutte le attività in corso». La sentenza, scrive l'azienda, «non ha in alcun modo bocciato l'opera né la sua importanza ma contesta le modalità con le quali il ministero dei Beni Culturali ha rilasciato il proprio parere positivo».
Le 50 imprese coinvolte e i 150 lavoratori impiegati se ne tornano a casa e quei tralicci «a basso impatto ambientale» svettano abbandonati nella campagna friulana. Terna annuncia che ricorrerà in Cassazione, ma intanto trema per quei 100 milioni di euro di investimento, di cui il 70 per cento già impiegato: «Così viene bloccata un'opera fondamentale per la sicurezza elettrica del Friuli-Venezia Giulia, che resta esposto ad alto rischio black-out ». Lo stop frena, infatti, una realizzazione cruciale per colmare il gap competitivo di imprese che in questo spicchio di Nordest da anni chiedono una rete elettrica adeguata, per dismettere 110 chilometri di linee obsolete e consentire un risparmio in bolletta stimato in 60 milioni di euro l'anno. Nel mirino dei ricorsi accolti questa volta dai giudici, è finito il parare favorevole dato dal ministero per i Beni e le attività culturali, nonostante il «no» della Sovrintendenza, che chiedeva invece l'interramento dell'opera per motivazioni paesaggistiche. Per il Consiglio di Stato si profila uno «sviamento di potere».
Intanto il territorio si trova a fare i conti con tutte le conseguenze di un'opera incompiuta. La cosa non piace per niente alla Regione: «Si è creata una situazione sconcertante, da cui potrebbero derivare danni gravi per tutto il Friuli-Venezia Giulia. Con un'infrastruttura quasi del tutto realizzata, con i vecchi piloni in piedi e con una totale incertezza dei tempi per i futuri sviluppi, non possiamo che esprimere preoccupazione. Non intervenire sulle linee elettriche, significa mettere a rischio il sistema produttivo regionale». Per Confindustria Udine è il fantasma della «manina anti-impresa» che «colpisce ancora»: «È sconfortante constatare come sia difficile, se non impossibile, fare impresa nel nostro paese - dice il presidente Matteo Tonon -. Terna lo è come lo sono le industrie che dall'elettrodotto ne avrebbero tratto vantaggio.
Un'opera di interesse strategico che viene interrotta mette in discussione importanti investimenti industriali legati alla possibilità di contare, grazie all'elettrodotto, su efficienti e stabili approvvigionamenti di energia».