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Fallimenti, più protezione alle aziende. Si alleggerisce la morsa di banche e Fisco

Nel testo favorite le transazioni ed eliminati gli automatismi di revoca dei fidi

Fallimenti, più protezione alle aziende. Si alleggerisce la morsa di banche e Fisco

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C'è una parola che fa spavento e che invece andrebbe insegnata nelle scuole. Fallimento. La sconfitta non fa parte dei nostri piani, come fosse un'onta e non un passaggio obbligato. Chi vuol fare impresa conosce bene l'amarezza dietro un'etichetta che ti viene appiccicata addosso da un sistema creditizio che non ha mai fatto troppi sconti. Ma nella bozza del correttivo al Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, circolata nei giorni scorsi, ci sono degli elementi di novità che meritano una riflessione e che restituiscono ancora una volta il senso a quelle due parole, «fisco amico», che il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti e il viceministro con delega alle Finanze Maurizio Leo ripetono come un mantra.

Analizzando il testo - che ancora deve iniziare il suo iter parlamentare - sembra che l'intenzione dell'esecutivo sia quella di provare a proteggere di più gli imprenditori, allentando il potere di vita di morte del sistema finanziario sulle aziende attraverso dei correttivi: l'obiettivo è vietare la revoca automatica dei fidi, rendere più complesso il taglio delle linee di credito e delle segnalazioni a «sofferenza», in grado da sole di distruggere le aziende. Ci sono delle grosse novità per quanto riguarda il divieto di azioni verso i debitori e le transazioni fiscali: sembrerebbe che queste vengano previste per legge, impedendo così che il Fisco dica «no» alle ristrutturazioni aziendali. Tra le novità c'è anche la possibilità del finanziamento esterno alle imprese in difficoltà, sulla stregua del «vecchio» concordato in bianco. Uno spiraglio si sarebbe aperto anche sulle transazioni per i crediti degli enti pubblici minori territoriali.

Qualche settimana fa il Giornale ha raccontato la vicenda dell'azienda di un Comune dell'hinterland milanese che ha chiesto (e ottenuto) dal giudice di far fallire un'azienda locale colpevole di non aver pagato l'Imu anche di dieci anni prima, sebbene non regolarmente riscossa: un danno per il territorio, che così si impoverisce, ma anche per le casse comunali che possono scordarsi incassi fiscali in futuro. Segno che sia gli enti locali sia le aziende sono alla corda, per colpa della scarsa liquidità, della crisi legata alla fiammata dei prezzi e all'impennata dell'inflazione, tornata (pare) a livelli più ragionevoli, in attesa che la Bce decida di abbassare la morsa sui tassi d'interesse.

Quando fallisce un'impresa, fallisce anche una famiglia che crea ricchezza e benessere grazie a stipendi e gettito fiscale, altro che la follia dei bonus a

pioggia che - come si è visto - hanno creato storture nel rapporto domanda-offerta, manipolazioni del mercato e debito pubblico. Ridare speranza a chi inciampa è il segnale che le piccole e medie imprese stavano aspettando.

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