La consueta rilevazione trimestrale del mercato del lavoro effettuata dall'Istat ha messo ancora una volta in risalto l'inefficacia del reddito di cittadinanza come strumento volto a sostenere il reinserimento dei beneficiari, almeno di quelli occupabili.
Cominciamo, tuttavia, con le buone notizie. Il tasso di disoccupazione in Italia nel terzo trimestre è sceso al 7,9% (-0,2 punti sul trimestre precedente, -1,1 punti sull'anno), il valore minimo dal 2009. Il tasso di occupazione è stabile rispetto al trimestre precedente al 60,2%, sui livelli più alti dal 2004, inizio delle serie storiche. Rispetto al terzo trimestre 2021 il tasso di occupazione è cresciuto di 1,1 punti. I disoccupati nel terzo trimestre erano 1,98 milioni.
Il dato, come al solito, è molto disomogeneo a livello territoriale perché il tasso di occupazione varia dal 68,2% del Nord al 65% del Centro al 46,6% del Mezzogiorno dove è in diminuzione di 0,3 punti percentuali rispetto alla fine di giugno 2022. Ma quello che preoccupa al Sud è il lieve incremento del tasso di inattività che è aumentato al 45,7% ritornando sui livelli del terzo trimestre 2019 anche se in valore assoluto i meridionali di età compresa tra 15 e 64 anni che non hanno un lavoro e non lo cercano sono meno di tre anni fa (5,8 milioni contro 6 milioni).
Sono questi dati a mostrare l'inefficacia del reddito di cittadinanza. Il sussidio grillino, infatti, obbliga il percettore in grado di lavorare a sottoscrivere un patto presso il Centro per l'impiego, rientrando dunque nella categoria dei disoccupati (se non già occupato e titolare del bonus allo scopo di integrare il reddito). Invece, le persone in cerca di lavoro al sud sono passate dagli 1,3 milioni di inizio 2019 ai 976mila di fine settembre. Il tasso di disoccupazione è «miracolosamente» sceso nello stesso periodo dal 18,1% al 13,8%, cioè è accaduto il contrario di quello che si prevedeva.
Il dato, sebbene positivo, è influenzato dalle dinamiche socio-demografiche. Tra inizio 2019 e settembre 2022 la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) è calata di 575mila unità, un trend che non si spiega solo con la denatalità ma soprattutto con l'emigrazione interna. Sia al Nord che al Centro la popolazione in età lavorativa è diminuita di 100mila persone circa. È lecito, pertanto, dedurre che la minore flessione sia stata effetto dell'immigrazione dei meridionali andati al Nord o al Centro per studiare e per lavorare. L'ipotesi è in linea con il Rapporto Svimez che indica in 125mila-150mila il numero di meridionali che ogni anno lascia la propria terra in cerca di fortuna nel resto d'Italia.
Ne consegue che chi da Catanzaro, Siracusa e Avellino ha trovato un lavoro molto probabilmente non deve «ringraziare» il reddito grillino. Ma chi è rimasto al Sud che cosa ha fatto? Ricordando che nel Meridione risiedono i due terzi dei nuclei beneficiari del sussidio (689mila per 1,6 milioni di persone coinvolte), in quelle Regioni al 30 giugno 2022 i soggetti al «patto per il lavoro», secondo l'Anpal, erano 495mila.
Poiché l'attuazione del Pnrr prevede l'avvio della Gol (garanzia di occupabilità del lavoratore), un percorso formativo mirato, dalla stessa Anpal sappiamo che a inizio ottobre i «presi in carico» percettori di reddito erano solo 50mila. Ne consegue che una spesa di 8-9 miliardi annui (di cui almeno 3,5 per l'inserimento lavorativo) per il reddito è difficile da giustificare.
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