Falso in bilancio, Renzi vira a sinistra

Il premier in direzione Pd annuncia l'addio alla «non punibilità». E fa altre promesse su scuola e concorrenza

Roma«Misure un po' più di sinistra», annuncia per il prossimo Consiglio dei ministri Matteo Renzi, dal podio della (ennesima) Direzione Pd. Lo annuncia con un sorrisetto divertito, guardando sornione la minoranza Pd schierata in platea. Il parlamentino democrat è stato convocato dal premier per dare un contentino proprio a loro, che avevano reclamato un dibattito sulla Grecia per costringere il premier a prendere posizione pro o contro Tsipras. Lui liquida agilmente la faccenda senza sbilanciarsi, ma rigirandola a suo favore: noi «continueremo a batterci in Europa per una nuova politica», contro gli eccessi di rigidità e la linea dell'austerity, «ma senza deflettere di un centimetro sulle riforme che l'Italia deve fare». Meglio se con una parte delle opposizioni, Renzi fa capire che il canale di dialogo con Fi è aperto, sia pur «senza mercimoni di emendamenti». Anche se contemporaneamente gli manda un segnale più minaccioso, che potrebbe gelare nuovamente il clima, con l'abolizione delle soglie di punibilità per il falso in bilancio, annunciata ieri dal governo.

La raffica di provvedimenti «un po' di sinistra» che annuncia serve forse anche a addolcire la pillola per la minoranza (cui non ha intenzione di concedere nulla, in particolare sull'Italicum), e a deviare sulle cose concrete che il governo fa i riflettori puntati sulla Libia e sul dibattito intervento sì-intervento no, che è complicato affrontare ora, in assenza di chiare strategie degli interlocutori internazionali. Venerdì in Consiglio dei ministri arriverà «la parte sui decreti attuativi per la fine della miriade di co.co.co, il dl sulla maternità e quello che consenta di superare il modello vecchio stile di precariato. Due pacchetti interessanti». In più, aggiunge, «introdurremo la fatturazione elettronica per superare lo scontrino di carta e faremo norme di aiuto alle aziende che vogliono investire su Expo». Poi - nel futuro - c'è lo ius soli: «Dobbiamo trasformare l'auspicio che chi nasce in Italia è italiano in legge», e la riforma della Rai «che non è più rinnovabile». Tanta carne al fuoco, secondo il classico metodo renziano che sposta sempre in avanti l'asticella da saltare.

Anche se il premier sa che sulle riforme c'è ancora molta strada da fare, e non in pianura. La riforma costituzionale tornerà in aula a Montecitorio per il voto finale nella prima decade di marzo, e di qui ad allora si lavorerà per cercare di far tornare in campo le opposizioni. Con cui Renzi è severo: con la maratona della scorsa settimana «abbiamo sconfitto il tentativo di Brunetta, Sel e Grillo di lasciare l'Italia nella palude». Il premier descrive una Forza Italia lacerata tra due linee «quella intransigente incarnata da Brunetta, che dice che le riforme fanno tutte schifo e bisogna andare subito a votare» e quella «razionale» di chi «dice che visto che le riforme le abbiamo scritte insieme è meglio concluderle e votare nel 2018». Un «travaglio che va rispettato», spiega Renzi, un «derby tra elezioni anticipate e legislatura costituente che non so come finirà». La palla è abilmente ributtata nel campo degli anti-riforme, che sono quelli - dice il premier, ben sapendo quanto la prospettiva atterrisca il grosso dei parlamentari - che vogliono andare al voto. E Renzi sta attento a separare Berlusconi (che ringrazia per la mano tesa sulla politica estera) da Brunetta. «Renato Brunetta vuole portate Forza Italia al voto subito, lanciando un'Opa sulla leadership.

Domani Berlusconi lo manda da solo al Quirinale o gli affianca una delegazione? Sono curioso di vederlo», confida a sera Renzi ai suoi. Intanto, in Aula, arriva oggi il Milleproroghe, con qualche novità: salta la modifica alle norme sulle frequenze tv, niente sanzioni per le Regioni fuori dal patto di Stabilità. E il governo porrà l'ennesima fiducia.

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