Politica

Falso padano, vero funambolo. Leader di sé e degli zerovirgola

Già bossiano, berlusconiano e senatore 5s, anti-tutto fonda il suo partito e corre da sindaco a Milano. Boy scout, chitarra, judo, politica e giornalismo. Fa tutto così così, ma sempre entusiasta.

Falso padano, vero funambolo. Leader di sé e degli zerovirgola

Sintomo della sindrome di Hubris, caratterizzata da comportamenti ispirati a presunzione e un'ossessione maniacale per la propria immagine, a Gianluigi Paragone piace molto parlare di se stesso, in terza persona. «Il Para ha detto...», «Il Para ha fatto...», «Devi sentire cos'hanno detto del Para...», «Hai visto il Para?». Purtroppo, sì.

Paradossale, paradigmatico, para (culo si può dire?), Gianluigi Paragone risata sonora, tipica di chi ride alle proprie battute, e voce squillante da bottiglia appena stappata, spumante Barone Pizzini, Franciacorta e giacche troppo larghe - ha compiuto una parabola partitico-ideologica che copre l'intera storia dei movimenti politici del secondo Novecento, primi Duemila. Il suo è un approccio alla battaglia delle idee molto - diciamo così - «disinvolto». Come la scelta dei look: dai completi grigio-topo col cravattone anni Novanta, quando a vent'anni ne dimostrava 50, ai bracciali multietnici e jeans di adesso, che a cinquant'anni pensa di averne 25. Ma poi: era peggio allora coi calzoncini da boy scout o con l'orecchino oggi?

Ed è già storia di ieri. Gianluigi Paragone - fenotipo sannita e aspirazioni padane è nato a Varese, o Vares, l'è sempar stess, ma è etnicamente sospetto. Origini molisane da parte di padre, addirittura siciliane di madre. A Busto Arsizio diciamo «diversamente nordici». Il suo peccato originale, a dirla tutta, non è che il padre fosse socialdemocratico. Ma che suonasse musica partenopea. Te voglio bene assaje. Noi un po' meno. Mai mischiare bruscitt e mandolino. Comunque, figlio di emigranti che poi avrebbe scritto contro i migranti, il giovane Paragone - dal Sud a Nord del profondo Nord - al liceo, mitico classico Cairoli di Varese, l'Alma Mater del leghismo, si candidò alle elezioni studentesche convinto di vincere, ma perdendo, come capiterà spesso - nelle liste di Fare Fronte, il braccio scolastico del Fronte della Gioventù, l'organizzazione giovanile dell'Msi. Però tra Almirante e Bertinotti non c'è Paragone. E da lì a poco ce lo ricordiamo tutti ai tempi dell'università, a Milano, aggirarsi per i cortili della Statale con il portaocchiali appeso al collo, la pipa (è vero!) e il Manifesto sotto il braccio. La sinistra intelligente da Masnàgh... Marx, cashmere e polenta uncia.

Le rivoluzioni raramente partono dalle prealpi. Ma le carriere, a volte, sì. Il tempo di una stagione in tour per le birrerie della Valganna con la band rock-padana Bdm, ossia I Babbi di Minkia (prime voglie di palcoscenico e cover di Vasco) e il ragazzo che sembra presuntuoso ma è estroverso, premuroso e dall'ego smisurato, stacca la musica e inizia a ballare. Tra giornali, partiti, radio, tv, movimenti, teatri, politica. Sono anni di Lega Nord, di celti e d'idromele. Per un terún dell'Insubria come lui, perfetto. Entra nel quotidiano varesino La Prealpina, foglio di lega e antigoverno: segue il capo, che in inglese si dice boss, a Cassan Magnagh Bossi, e quando il capo chiama si risponde «Sun chì!». Il ragazzo è cattolico, capace e brillante. Nel centrodestra con molto meno si diventa Ministri. Lui: direttore del tg di Rete 55, poi l'infatuazione berlusconiana al Giornale, agenzia AdnKronos, quindi nel 2005 direzione del quotidiano di partito La Padania, anni fallaciani e anti-islamici, da lì a Libero e a quel punto la scalata nel mondo dell'informazione è più facile di quella del Mottarone: vicedirettore di Rai1, quindi di Rai2, conduzione del talk show Malpensa Italia - la battuta che il programma «non decolla» era veramente brutta; ma anche il programma poi L'ultima parola: nel 2011 prende le distanze dalla Lega e viene accusato in diretta tv da un deputato PdL di «salire sul carro dei vincitori» (questo proprio no!); quindi dalla Rai a La7, dove c'è sempre posto per tutti: sono gli anni, dal 2013 al 2017, della trasmissione La gabbia, un po' talk show, un po' circo (ma non stiamo dicendo che Paragone è un clown), trasmissione che è stata L'École nationale d'administration dei grillini: No-euro, sparate anti-sistema, Fusaro, «Fuori dall'Europa!», «Abbasso i poteri forti!» (ma rimanendo amici dei Cairo e i Della Valle), complotti e vaffanculo. Infatti, il passo successivo è Grillo. Alle elezioni politiche 2018 Gianluigi Paragone è eletto al Senato nelle fila dei Cinque stelle. Il tempo di capire dov'è il portone d'ingresso di Palazzo Madama per sbatterlo in faccia al movimento: espulsione da Casa-leggio, Gruppo misto (è rimasto nel resoconto stenografico della seduta parlamentare la volta che dichiarò: «Sono l'unico indipendente che non ha ricevuto una chiamata!», dimenticando che va bene il mercato delle vacche, ma c'è un limite a tutto) e, visto che gli fanno schifo i partiti degli altri, ne fonda uno suo: ItalExit. Come sta andando? Sere fa a Cuneo, ora dell'aperitivo, c'erano assembramenti ovunque: tranne ai Giardini Fresia, dove la presenza di Paragone e di Italexit ha garantito l'adeguato distanziamento sociale.

Molto social e tanto provinciale (nel senso di varesotto) - Paragone è forse l'ultimo NoEuro d'Italia «A Parago' ce sei rimasto solo tu...», e non sappiamo se è un complimento e, ultimamente, No Pass: è tra i massimi esponenti del movimento antivaccini, con Eleonora Brigliadori e Povia, praticamente la programmazione della seconda serata di Rete4. E a questo punto il dramma del Paese è che non si vede alcuna differenza tra Cacciari, Agamben, Claudio Borghi e Gianluigi Paragone. No, non andrà bene per niente.

Leader di niente in cerca di tutto, zerovirgolista dell'antipolitica in protesta permanente e continua, già alfaniano, maroniano e lobbista formidabile, il paraLeghista venuto dal Sannio - el GianLuis Paragon è un entusiasta della vita (fa tutto, chitarra, judo, giornalismo: male, ma si diverte a farlo), e al netto delle giravolte alla fine pur cambiando cento posizioni resta coerente: a se stesso - non è antipatico (rispetto al virologo Roberto Burioni, col quale si è litigato molto, Paragone è un brillantone). Insopportabile sì, ma non antipatico. Alla gente tutto sommato piace. Forse è per questo, avendone coscienza, e contando sulla proverbiale predisposizione allo scherzo dei milanesi, che a maggio ha annunciato la sua candidatura a sindaco di Milano. Paragonesindaco.it.

Contro Sala?!? Qualcuno non noi! ha detto che il Covid19 è sceso ufficialmente al secondo posto nella classifica delle paure legate all'uso della metropolitana a Milano. In prima posizione, con un distacco notevole sul virus, adesso ci sono i manifesti col faccione di Paragone candidato sindaco che ti punta il dito contro. «Ue, ti te set minga de Milàn».

Ma fa bene. In fondo, fra il giornalismo e la politica non c'è Paragone. Pietra di Paragone. Termine di Paragone. Complemento di Paragone (in grammatica non andava benissimo). Un Paragone che non regge. Se mi lascia passare il Paragone... È un Paragone divertente (insomma...). Non regge il Paragone (ma anche: «Io il Paragone non lo reggo»). E comunque, i Paragoni sono sempre odiosi.

A questo punto, uno che col sangue irpino è arrivato ai vertici della Lega, che dai sit-in con Forza Nuova al fuoco fatuo di Rifondazione comunista le ha viste tutte, che dal cospirazionismo politico-finanziario è passato al sogno di governare la City, cosa può fare ancora? Quello che in Italia fanno tutti dopo non aver ottenuto niente. Come lo stesso Paragone ha detto all'infettivologo Matteo Bassetti: «Lei è pronto per andare all'Isola dei Famosi».

Ci andranno insieme.

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