Cronache

"Una fame d'azzardo che è peggiore della droga"

Pietro coordina il centro di San Patrignano specializzato nel recupero dei malati di ludopatia

"Una fame d'azzardo che è peggiore della droga"

Sono accolti nella struttura di Botticella, sede di San Patrignano, nell'entroterra di Rimini, luogo rilassante, verde, con piante e animali. Lì, imparano a fare i formaggi, assaporano il gusto dei lavori manuali, si occupano della cucina. E lì trascorrono mesi e mesi, anni anche, prima di uscire dalla dipendenza che li ha distrutti, quella del gioco d'azzardo.

La piccola schiera dei ludopatici - attualmente sono in 16 - sono tutti uomini. L'età non conta quando si parla di scommesse. Hanno dai 25 ai 60 anni e alle spalle una vita già rovinata dal gioco. C'è chi perso milioni al casinò, o tutti i soldi che aveva, o che avevano i genitori, c'è chi ha perso la casa o il lavoro. Le loro vite sono state fatte a pezzi da slot machine, da scommesse e «gratta e vinci». Da tutto quello che può dar loro adrenalina e l'illusione di poter vincere.

Solo dopo il tracollo, quando il gioco li ha massacrati e gli ha fatto perdere ogni dignità, possono riemergere. Ma non da soli. «I primi giorni di accoglienza sono durissimi spiega Pietro, uno dei coordinatori del centro vanno in escandescenza. Il giocatore patologico è come un tossico, è dipendente dal gioco e va in crisi di astinenza. È instabile, alterato. Ma dopo una settimana si riprende. Comincia a stare meglio anche se capisce che dovrà mettercela tutta per uscire dal suo inferno».

Mediamente un ludopatico impiega un anno per tornare ad avere stima di sé. Durante questo periodo l'ospite viene seguito da uno psicoterapeuta e un educatore, gli vengono imposti orari da rispettare, gli vengono affidate via via delle responsabilità, mansioni da svolgere. A percorso avanzato viene affiancato anche da un altro ospite della struttura che è uscito dalla morsa del gioco: un modo per fargli capire che ce la può fare. E in questo modo viene responsabilizzato e preparato alla sua nuova vita. Dopo qualche mese viene fatto uscire dalla struttura, come un convalescente, e per qualche giorno torna a casa, nella sua zona, ma è sempre affiancato dall'educatore e da una figura familiare di riferimento che è stata scelta all'inizio della cura. E così prende coscienza dei propri cambiamenti.

«Il ludopatico è spesso una persona fragile, che ha difficoltà a relazionarsi, vive il gioco come una droga che lo proietta in un mondo tutto suo dove nessuno può intromettersi racconta Pietro - Il gioco gli crea euforia e quando smette ha bisogno di un'altra dose, come un tossicodipendente. Ma fino a quando riesce a mascherare il proprio vizio non si ferma. Si presenta qui quando non ha più nulla da rubare in casa, non ha più un lavoro e quando la sua doppia vita viene smascherata dalla famiglia.

Che non lo abbandona mai al suo destino».

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