I liberali saranno da divano ma anche gli statalisti non brillano per efficacia. Dopo mesi di mascherine a singhiozzo, la strategia di Domenico Arcuri non pare aver risolto i problemi nemmeno in Fase 2. Anzi: dopo l'ordinanza numero 11 con cui il commissario straordinario ha stabilito un prezzo fisso stile Unione sovietica, le mascherine chirurgiche sono di nuovo rarità. E tra le aziende spira voglia di dare battaglia in tribunale. Al Giornale diversi avvocati hanno riferito di richieste di pareri per ricorsi al Tar contro l'ordinanza di Arcuri.
Basta un giro nelle farmacie e nei supermercati per rendersi conto che il meccanismo non funziona: se si trovano non costano certo 50 centesimi. O sono mascherine delle tipologie «filtranti», le FFp2 e FFp3, vendute a prezzi ben superiori, anche cinque o dieci euro.
La mossa di Arcuri aveva subito creato una polemica. Il commissario è sbottato contro chi lo criticava (Forza Italia ieri ha parlato di «sovietizzazione») e poi ha cercato una via d'uscita che sostanzialmente smentisce il tetto dei 50 centesimi: ha stretto accordi con Federfarma (farmacie) e con i rappresentanti della grande distribuzione (supermercati) per un «ristoro» delle perdite subite da chi venderà le mascherine a 50 centesimi avendole acquistate a prezzi superiori. Così, alla fine il succo è che la differenza se la accolla il contribuente. E poi ha promesso di distribuire alle farmacie le «tre veli» della Protezione civile a un prezzo di 0,38 centesimi, che al pubblico salirà a 0,50 più Iva.
Già, l'Iva: alle prime proteste contro il metodo Arcuri, il ministro dell'Economia Gualtieri ha promesso di azzerare l'Iva per il 2020 e ridurla al 5 per cento per il 2021. C'è un problema, la misura dovrebbe arrivare con il decreto aprile, su cui però il governo litiga al punto che l'unica certezza è il cambio di nome obbligato: decreto maggio. Il risultato è il caos. «A oggi, in molte farmacie le mascherine non sono arrivate -conferma Roberto Tobia, presidente di Federfarma Palermo e segretario nazionale dell'organizzazione-. Le mascherine continuano a essere vendute nelle poche farmacie che ne sono fornite, ad un prezzo pubblico di 50 centesimi più Iva, quindi a 61 centesimi, perché ancora non l'hanno abolita». E a pagare il prezzo delle mancate promesse sono i commercianti che devono spiegare ai clienti: «Ci trattano come speculatori e a subire le comprensibili reazioni dei cittadini ci siamo solo noi farmacisti esposti in prima linea». «Le mascherine della Protezione civile arriveranno -spiega il presidente di Federfarma Marco Cossolo- a quelle d'importazione invece serve una valutazione di conformità dall'Istituto superiore di sanità che però non ce la fa a evadere le pratiche». Nei supermercati si parla di ordini in arrivo ma al momento negli scaffali ci sono tutte tranne quel del tipo sottoposte al «prezzo Arcuri».
All'orizzonte c'è anche una possibile grana giudiziaria. Alcuni studi legali valutano il ricorso al Tar contro l'ordinanza di Arcuri. «Posso confermare che mi è stato chiesto un parere legale -dice l'avvocato Paolo De Berardinis- e ritengo che una parte dell'ordinanza possa essere ritenuta viziata». Del resto, già la strategia «anti speculazioni» della Fase 1 è finita in tribunale con fortune alterne.
«L'idea di contestare un reato in disuso che risale alle crisi petrolifere, il 501 bis che punisce le manovre speculative su merci -spiega l'avvocato e docente di diritto Andrea Castaldo- non è convincente. Almeno un tribunale del Riesame, quello di Lecce, ha ritenuto insussistente la turbativa di mercato e dissequestrato le mascherine pur se vendute con un rincaro del 200 per cento».
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