La Fase due del governo Conte è già una stangata fiscale

Riforma ipotecata da deficit e clausole di salvaguardia. Per le coperture aumenti Iva e fine dei regimi speciali

La Fase due del governo Conte è già una stangata fiscale

La coperta della «fase due» è cortissima ed è inevitabile scontentare qualcuno. Per questo il governo, con grande anticipo rispetto ai tempi della legge di Bilancio, è alla ricerca di una giustificazione «sociale» da dare a quella che probabilmente sarà una stangata fiscale.

Rimodulazione dell'Iva ufficialmente per favorire le fasce della popolazione meno avvantaggiate, in realtà per aumentare l'imposizione sui beni di consumo di maggiore diffusione. Ritocchi alle spese fiscali, che possono valere miliardi. Inizia a prendere quota anche l'idea di eliminare del tutto alcune forme di tassazione separata. Concetto vago che richiama una qualche idea di equità e semplificazione, che rischia però di nascondere decisioni impopolari. Ad esempio, l'eliminazione della cedolare secca sugli affitti. Una delle poche misure che tiene a galla il settore immobiliare (che ieri ha tirato un sospiro di sollievo per l'eliminazione di un emendamento dal milleproroghe che limitava gli affitti brevi). Ma anche la fine dell'aliquota agevolata per le partite Iva fino a 65 mila euro. L'accenno di flat tax, che è stato confermato anche per il 2020, nonostante vari tentativi di cancellazione.

La fase due del governo Conte è ipotecata dalla situazione dei conti pubblici. Proprio ieri il Fmi ha previsto per quest'anno un deficit al 2,4%, debito a 135% e Pil +0,5%. Peggio del previsto, tanto che il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri ha precisato che l'evoluzione dei conti potrebbe essere più positiva del previsto con il deficit al 2,2%.

Dal punto di vista della prossima legge di Bilancio cambia poco. Ci sono aumenti Iva già contabilizzati per 20 miliardi che zavorrano ogni tentativo di dare sostanza alla fase due del governo Conte.

Il Fmi ha calcolato che per portare il costo del lavoro in Italia sulla media europea serve una manovra da due punti di Pil. Comprendendo la sterilizzazione delle clausole Iva il conto della riforma fiscale sarebbe già di 60 miliardi. Anche se il piano del governo fosse meno ambizioso, difficilmente il conto della manovra per finanziare il capitolo fiscale scenderà sotto i 30 miliardi.

Per questo anche i sindacati danno per scontata una rimodulazione dell'Iva, che poi significa aumenti su alcune merci. Magari beni di consumo diffusi ma catalogabili come di lusso. Facile immaginare l'elettronica. Stangate da fare digerire con misure di effetto, ad esempio l'azzeramento dell'Iva sul pane.

A rischio ci sono anche i regimi speciali. Ne fanno cenno le proposte di Italia viva, anche se il partito di Matteo Renzi difende la cedolare secca sugli affitti (e vorrebbe anche estenderla agli immobili commerciali). Secondo la stessa logica, il governo vorrebbe mettere mano alle spese fiscali. Ma fino ad oggi non ci è riuscito nessuno.

Parte delle coperture della riforma, arriveranno quindi da un inasprimento dell'imposizione Irpef. Ne ha fatto cenno direttamente il ministro Gualtieri, tirando in ballo i redditi fino a 500mila euro.

La riduzione delle aliquote da cinque a tre non è più l'unica ricetta in campo.

Il sottosegretario all'Economia Cecilia Guerra pensa a un sistema in cui l'imposizione cambi gradualmente e non a scatti, come succede oggi con gli scaglioni di reddito.

Costruttivismo fiscale che ricorda molto l'impostazione della vecchia scuola di Vincenzo Visco. Alchimie che di solito finiscono per tradursi in aumenti della pressione fiscale a danno dei più.

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