C'è una cosa che, in questa pandemia, va tenuta bene a mente secondo Guido Forni, accademico dei Lincei e già professore ordinario di Immunologia all'università di Torino: «La scienza è arrivata dove mai prima, cioè a creare un vaccino in meno di un anno». Una conquista che ci sembrava un sogno ma che ora non ci basta più, ci sembra un fatto scontato nella battaglia quotidiana contro le varianti del virus, il rischio di nuove zone rosse e gli studi che non convincono fino in fondo. «Eppure io me lo ricordo bene - racconta Forni - l'urlo di gioia del direttore di Pfizer quando ha visto i risultati finali sull'efficacia del vaccino. Nessuno ci credeva. Ecco, ricordiamoci più spesso che la scienza ha fatto dei passi immensi».
Va bene il vaccino in un anno. Ma chi da oggi riceverà il siero Astrazeneca rischia di sentirsi un vaccinato di serie B. Secondo lei ne ha motivo?
«Con Astrazeneca 7 persone su 10 saranno sicuramente protette e il 100% di loro non svilupperà forme gravi di Covid. I dati dicono che Astrazeneca funziona meno bene rispetto agli altri ma vedremo cosa dirà la realtà. Il vaccino di Oxford è buono e, in questa fase in cui scarseggiano le dosi, è fondamentale per proseguire la campagna vaccinale. Inoltre è l'unico a bloccare la trasmissione dell'infezione o a diminuirla in mono notevole».
La scienza ha fatto l'impossibile sui vaccini. I guai sono arrivati quando si è parlato di forniture e priorità.
«Purtroppo i grossi problemi sono iniziati con la fase dell'accaparramento, con un atteggiamento predatorio da parte degli Stati che ha creato ritardi. Ma non dimentichiamoci che il vaccino deve arrivare con equità in tutto il mondo. Non solo per ragioni etiche, ma anche per evitare la comparsa di nuove varianti tra un anno chissà in quale parte del mondo».
Sono in corso studi per valutare l'iniezione di una terza dose contro le varianti di Covid.
«E sono studi molto interessanti. Avere dei vaccini a Dna e Rna che si possono adattare facilmente nel caso in cui si diffondano nuove varianti è fondamentale. Così come lo è sapere che tra sei mesi o un anno ci sarà la possibilità di una terza dose anti variante».
I nostri tamponi finora non erano in grado di rilevare le varianti. Ora se ne occuperà un centro nazionale. Siamo in ritardo?
«Si, lo siamo, ma fino a pochi mesi fa non era importante. I casi di variante Covid aumenteranno di sicuro quindi, anche se non lo abbiamo fatto prima, è determinante monitorarli d'ora in avanti».
Il virus sembra evolversi più velocemente rispetto alle nostre cure.
«Sinceramente pensavo risolvessimo la pandemia più facilmente. In realtà a ogni progresso delle cure, il virus è stato in grado di sgusciare via e di evolversi».
Alcune Regioni italiane rischiano di tornare in zona rossa. Cosa pensa accadrà nei prossimi mesi?
«I prossimi mesi saranno scientificamente molto interessanti perché porteranno risposte alle mille domande aperte che abbiamo su cure e vaccini. Io spero che con l'estate le condizioni migliorino. Certo è che è ottimo procedere con la vaccinazione su doppio binario, cioè contemporaneamente sugli 80enni - i soggetti più fragili - e sui 50enni - i veicoli del virus».
Tuttavia l'immunità di gregge resta un miraggio.
«Sarà molto difficile da raggiungere, questo sì. Ma l'obbiettivo della campagna vaccinale è dimezzare il numero dei ricoveri, evitare i decessi e le terapie intensive. Già questi sarebbero dei risultati eccezionali».
Cosa pensa dei monoclonali? Potrebbero fare da stampella alla campagna vaccinale?
«I monoclonali possono salvare la vita di chi si infetta ma hanno un solo problema: funzionano su chi ha un'infezione lieve, cioè su quelle persone che vanno isolate e curate a casa
loro. Invece per ricevere l'iniezione dovrebbero uscire, rischiando di diffondere il virus. L'ideale sarebbe poter somministrare i monoclonali a domicilio. Il sistema potrebbe funzionare molto bene all'interno delle Rsa».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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