È iniziata la rivincita dell'eterno numero due. In un partito ostaggio del carisma di Nicolas Sarkozy, François Fillon è sempre stato un passo indietro. Nelle foto. Nelle decisioni da prendere. Nei dieci anni passati all'ombra del capo discusso e oggi ripudiato dalla base. Alle primarie della destra francese era considerato il terzo incomodo. Ora è favorito per il ballottaggio di domenica contro uno spento Alain Juppé e per l'Eliseo nel 2017, con buone probabilità di battere Marine Le Pen. Non a caso, l'8% dell'elettorato lepenista ha votato alle primarie dei Républicans.
Agli occhi dei francesi è parso sempre sobrio, quasi trasparente, nonostante sia stato ministro per 12 anni, due mesi e 11 giorni. Come se non fosse né di destra di sinistra. Lui, che a 62 anni ama le macchine da corsa e le gare automobilistiche, ha paragonato la vittoria del primo turno a quella del pilota belga Jacky Ickx che vinse in rimonta la 24 ore di Le Mans. Così la Francia riscopre il nome a cui Sarkozy, con evidente strafottenza, aveva affibbiato l'etichetta di semplice «collaboratore». Invece era premier, nel 2007.
Mai stato personaggio. «Sono un gollista sociale», per anni si è presentato unicamente così. Però è cambiato. Perché dalla corrente di pensiero nota per la sensibilità all'assistenza e le politiche sociali è diventato un animale politico capace di chiamare le cose col proprio nome. Immigrazione, islam, terrorismo. Parole contenute nel libro «Vincere il totalitarismo islamico« scritto dopo gli attentati di Nizza e uscito a fine settembre: più di 90 mila copie vendute in un mese. «Non c'è un problema religioso in Francia, c'è un problema con l'islam», scrive.
L'elettorato gollista abituato al vecchio e moderato Fillon è stato rapito dalla trasformazione in dobermann della politica. Capace di mordere gli avversari con quella ferocia che un paio di mesi fa gli ha suggerito di mettere in campo nei dibattiti tv il senatore-portavoce Bruno Retailleau, l'unico ad aver previsto in anticipo che avrebbe vinto il suo cavallo, diventato di razza ultra-conservatrice anche grazie a lui: «Ha capito che la paura di un declassamento economico e di un'espropriazione dell'identità erano due manifestazioni di un'unica angoscia francese».
Fillon non ha fatto campagna solo nelle città della Francia parlando con agricoltori, allevatori e disoccupati. Negli ultimi due anni ha intensificato una rete di contatti personali anche all'estero. Primo fra tutti, il rapporto con Vladimir Putin. Per citare l'ultimo episodio, un mese fa, quando buona parte della comunità internazionale si indignava per i bombardamenti russi su Aleppo, e Hollande si interrogava pubblicamente se fosse il caso di incontrare il russo all'Eliseo al punto da far cancellare a Putin la tappa di Parigi, Fillon fu tranchant: «Certo che dobbiamo accoglierlo, o dobbiamo fare la guerra alla Russia?». È uno dei pochi politici che già dal 2008 ha con Putin una special relationship che gli ha fatto definire le sanzioni alla Russia dopo l'annessione della Crimea «un gesto folle» dell'Ue.
È noto il suo liberalismo. Vuol cancellare la patrimoniale e le 35 ore, da portare a 39 nel pubblico e a un massimo di 48 nel privato lasciando che siano dipendenti e imprenditori a negoziare. Punta a recuperare 110 miliardi in 5 anni con tagli alla spesa e con la soppressione di 500 mila posti pubblici. Parla di 50 miliardi di riduzione della pressione fiscale diretta (40 per le imprese e 10 per le famiglie), perché «la Francia non ha bisogno di qualche riforma, ma di un vero choc». Se Juppé vuole aumentare l'Iva, lo farà anche lui (del 2%) come gli ultimi due presidenti.
«Il coraggio della verità», d'altronde, è il suo slogan. «So che questo genere di discorsi vi disturba ha detto in uno speciale dedicatogli da France 3 ma siete voi che vi sbagliate e sono io che ho ragione». Anche questo è il nuovo Fillon.
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