Napoli. Lo sguardo va subito su piazza del Plebiscito. Nella tappa napoletana, Gianfranco Fini, riapparso in pubblico dopo il lungo esilio, ritorna con la mente al 1974. Quando lui, diciottenne militante del Msi, assisteva in quella stessa piazza al comizio del suo padre politico Giorgio Almirante. È però un Fini nervoso, teso, che si sottrae ai microfoni di tv e giornali. Arriva a Napoli, poco dopo le 10, accompagnato da un fedelissimo, l'ex consigliere provinciale di Fli Enrico Flauto, e si accomoda al tavolo d'onore con Enzo Raisi, altro finiano doc che per l'occasione presenta il suo libro La casta siete voi.
La sala è pienissima. Il «ritorno» del capo è curato nei minimi dettagli. Si vuole dare l'idea che l'ex leader della destra italiana conservi immutato il suo appeal in quel mondo. Ed infatti all'inizio scattano applausi e selfie. «Si riparte», gridano dalla sala.
A quando l'annuncio ufficiale del rientro in campo? «Guardi Fini vuole ritagliarsi un ruolo da ideologo e suggeritore più che immaginare una candidatura o altro», spiega al Giornale uno dei finiani seduti in platea. Un ruolo che lo stesso Fini, tra le righe del suo intervento, lascia intravedere: «Io non devo entrare in nessun partito, non ho tessere. Cerco di ragionare per dare contributi». L'ex presidente della Camera frena sull'ipotesi di un matrimonio con Fratelli d'Italia. Però nel frattempo riallaccia i legami con le truppe. Soprattutto con i superstiti di Futuro e Libertà, il partito nato dopo la rottura con Silvio Berlusconi e l'addio al Pdl. Da quell'esperienza ne prende le distanze Alessio Butti, sottosegretario all'Innovazione e parlamentare di Fdi che al Giornale precisa: «Mai nemmeno lontanamente ho pensato di aderire a Futuro e Libertà. Rimasi nel Pdl contribuendo poi a fondare - rinunciando ad un seggio sicuro nel Pdl - Fratelli d'Italia».
Dalla tavola napoletana, Fini consegna il primo suggerimento al governo sull'autonomia: «È una questione che non deve spaventare il Meridione, ma deve imporre a tutte le forze politiche nazionali di fare le cose in modo ordinato, cum grano salis, sapendo le conseguenze. È una materia delicata e non è contro la Costituzione, anzi ne è la piena attuazione. Però bisogna farlo sapendo che è una materia che può diventare incandescente. Nell'articolo 117 per fortuna c'è scritto che occorre individuare i Lep, che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale a tutti i cittadini. E mi ha fatto piacere che Calderoli, che conosce la materia benissimo, quando sono sorte alcune questioni abbia detto che la spesa storica finisce nel momento in cui si dà vita all'autonomia differenziata. Se non si dà vita a un fondo di perequazione o all'individuazione dei Lep, è chiaro che il rischio di mettere davvero in discussione l'unitarietà». Passano pochi minuti e arriva il secondo suggerimento. Stavolta al partito più che all'esecutivo: «I partiti non possono essere solo comitati elettorali. Non possono scimmiottare quello che erano 20 o 30 anni fa, l'era delle ideologie che erano totalizzanti, non concepivano la contaminazione. Bisogna quindi ripensare al ruolo dei partiti, che non possono essere solo comitati elettorali, non va bene se la politica coincide con la propaganda.
Bisogna formare la classe dirigente, poi serve il ruolo delle fondazioni, delle associazioni, è cresciuta l'azione del volontariato sociale, del terzo settore». Il rientro di Fini è ufficiale. Oggi nella veste di suggeritore. Domani chissà. Da candidato.
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