L'elezione di Mattarella? Come un matrimonio. Un matrimonio felice. Cui deve seguire, secondo Debora Serracchiani, un'altrettanto felice luna di miele. Per il vicesegretario del Pd bisogna, in buona sostanza, disinnescare le «mine interne» e procedere sul cammino già avviato dal patto del Nazareno. Insomma il «metodo Quirinale» non si può e non si deve applicare all'azione di governo e al processo delle riforme. Mentre la Serracchiani pesca dal vocabolario matrimoniale, il ministro Maria Elena Boschi, più pragmatica, si serve del lessico marziale. «Ora è necessaria una tregua» è lo slogan che da 48 ore ripete come un mantra. Ma una tregua per fare che?, si domandano bersaniani e affini che hanno abbassato la cresta sul «metodo Quirinale» per dimostrare quanto siano ancora importanti all'interno di un Pd compatto. In fin dei conti i più soddisfatti sembrano proprio loro. L'ex segretario Bersani ancora domenica sera ospite da Fazio a Che tempo che fa affermava che la minoranza ha dimostrato che non ha «assolutamente» intenzione di rompere il filo. E ha anche provato a Renzi che può fare a meno di Berlusconi: «Si deve parlare con tutti ma l'ultima parola non la si può lasciare a nessuno». Bersani si mostra compiaciuto del metodo del dialogo interno per trovare la quadra sul Quirinale. E ora il «dialogo» deve rinascere pure su questioni altrettanto urgenti e scottanti come la nascitura legge elettorale. «Nell' Italicum - spiega a Fazio - c'è da fare una riflessione sul tema dei capilista bloccati, una cosa che per molti di noi è ingiusta e squilibrata». E subito dopo accenna anche alla tenuta dell'esecutivo. «Può durare fino al 2018. Il Pd ha una solida maggioranza, quindi è proprio il Pd che deve garantire la stabilità. Come? Parlandosi».
Sul fronte opposto, invece, è lo stesso Renzi a stoppare gli entusiasmi della sinistra interna: «Le riforme vanno avanti perché servono all'Italia». Insomma nulla cambia ed è già pronto un calendario dei prossimi provvedimenti. Tra questi, il decreto fiscale con la contestata norma del 3 per cento. Chiarissimo Renzi: «Stiamo valutando, verificando, vedremo se cambiarla e come. Il senso è che se fai il furbo ti becco e ti stango, ti faccio pagare il doppio, ma diamo corso al processo penale se c'è buona fede. Berlusconi non c'entra niente, ma bisogna dividere tra gli evasori e chi fa errori in buona fede». Una difesa della norma, in procinto di tornare al Cdm il prossimo 20 febbraio, che non autorizza alcuna illusione degli oppositori interni. Per Fassina, Civati e gli altri quella sul «3 per cento» è una battaglia simbolica. Serve a dimostrare che ancora esistono.
Chi è già fuori dalla pretesa luna di miele è il solito Pippo Civati. «Se è possibile, l'elezione di Mattarella rafforza Renzi anche nel Pd. Non il contrario. E sarebbe ingeneroso non riconoscere che Renzi non fa le cose (sbagliate) che fa perché gliele dice la destra, ma perché ci crede lui. Non averlo ancora capito è sorprendente». È lo stesso Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a dimostrare quanto fondata sia la «lettura» civatiana: «Gli italiani non accetterebbero di sentirci discutere di correnti, sottocorrenti, verifiche e rimpasti». D'altronde anche i sondaggisti confermano un «effetto Mattarella» per il Pd. Renzi scrive agli iscritti una lettera che è un inno al cambiamento, ricordando «la massima determinazione nell'andare avanti con le riforme».
L'autocelebrazione contagia persino il presidente del partito Orfini, che in un tweet ironizza: «Oh comunque la prima volta che non facciamo le riunioni in streaming viene fuori un capolavoro...ci sarà un nesso? #sischerza ». Già, si scherza. O forse no, come ricordava Sigmund Freud («Scherzando si può dire di tutto, anche la verità»).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.